Thierry Frémaux ha annunciato un minuto di silenzio durante la Montée des marches del pomeriggio di ieri – per la proiezione del film postumo di Abbas Kiarostami – in solidarietà con la città di Manchester e le vittime dell’attentato (rivendicato dall’Isis) al concerto di Ariana Grande. Un comunicato ufficiale sul sito del festival fa sapere che i fuochi di artificio della festa per i 70 anni sono stati annullati, il sindaco di Cannes ha voluto precisare che continuerà a fare di tutto per garantire la sicurezza dei cittadini e dei festivalieri – «Il nostro scopo è proteggere tutti e difendere i nostri valori» ha detto. Certo è che il Palais bunkerizzato da controlli e metal detector non protegge chi rimane ore in coda fuori, ammassato tra la strada e le sbarre di ferro che delimitano il marciapiede – «È un problema della polizia non nostro» rispondono quelli della security – e l’isteria della calca.

Dentro-fuori, interno-esterno, una relazione che rimbalza sulle immagini del festival, l’obiettivo è cercare un racconto del mondo, fissarlo meglio se per rinchiuderlo in sistemi consensuali, totalitarismo della messinscena e contro-eroi bene identificabili, che fanno dormire sonni tranquilli (sono loro i cattivi assoluti) piacciono moltissimo sulla Croisette, e a quel mercato della «metafora» della conservazione più reazionaria coltivata dagli autori cari a Cannes. Smontare, ricomporre, esercitare il pensiero oggi è fuori moda e sovversivo – il che rende ancora più importante il valore «politico» del sistema aperto in un film come L’intrusa di Di Costanzo.

Se ti scatto una foto non sarai più lo stesso ripete Claire,bizzarra insegnante di musica eleganza discreta agnés b. prima di fotografare. Con la sua polaroid si aggira tra caffè e stradine di Cannes durante il festival, a un tavolo conosce un regista coreano, un po’ sbronzo, col quale passa un po’ della sua giornata. Dopo la foto anche lui e la sua assistente, forse moglie che ne controlla passi e avventure, sono cambiati…

La Caméra de Claire è uno dei due film di Hong Sang- soo sulla Croisette, che è invece in gara per la Palma con Le Jour d’Aprés, bianco e nero come Garrel e danza lieve tra le virate dei sentimenti. La doppietta che può sembrare un caso raro non sorprende per il regista coeano che fa film al ritmo del respiro, quasi fossero una necessità vitale – era in concorso a Berlino con il magnifico On the Beach at Night Alone.

Filmare per Hss è vivere e l’inverso ma quella vita di un’autobiografia modulata su variazioni impercettibili, eppure sostanziali, nel romanzesco, ripropone una visione nuova e sorprendente a ogni appuntamento. E che ossigeno di libertà, invenzione, miscela perfetta di leggerezza e pensiero profondo sull’arte, il mondo, la sua rappresentazione, i sentimenti. La Caméra de Claire, titolo rohmeriano – e Rohmer è tra i registi amati da HSS con lui condivide il movimento della variazione – è stato girato a Cannes durante lo scorso festival insieme a Isabelle Huppert che è Claire, e alla musa del regista, Kim Min-hee, una ragazza coreana, con cui Claire diviene amica dopo averla fotografata attratta dalla sua grazia. Kim è stata licenziata all’improvviso dall’assistente del regista coreano con l’accusa di disonestà.Forse l’altra donna lo ha fatto per gelosia, o per un malinteso: il regista è attratto da Kim, l’altra non sopporta l’idea poi però torna a cercarla.

«Il solo modo di cambiare le cose è guardarle una seconda volta molto lentamente» è la morale limpida di Claire in cui si riassume il senso del cinema di Hong Sang-soo. Girato in piena improvvisazione, La Caméra di Claire nella sua semplicità (sempre molto sofisticata) quasi fiabesca tocca questioni importanti, l’immagine, lo sguardo e la sua potenza, come raccontare la realtà nella sua apparenza che mai è la stessa di ciò che si crede.

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Piccolo slittamento eccoci a Seoul, bianco e nero con luci che accarezzano il volto della giovane protagonista, di nuovo Kim Min-hee mentre discute sul racconto della realtà insieme a un uomo, critico letterario ammirato e direttore di una importante casa editrice. È il primo giorno di lavoro della ragazza lì, l’uomo è sposato ma ha avuto una relazione con l’impiegata precedente, non vuole lasciare la moglie che però sospetta il tradimento. HSS mette in scena un adulterio, tra passi falsi e invenzioni che coincidono con l’arte stessa del narrare. La moglie piomba in ufficio e schiaffeggia la nuova impiegata convinta che sia lei l’amante del marito, l’uomo la licenzia ma solo perché l’amante nel frattempo è tornata e il malinteso si trasforma in una nuova realtà per la coppia che così potrà vivere la sua storia in serenità.

I due film sono speculari, non solo per la presenza della stessa attrice, Kim Minhee; entrambi presentano un uomo tra due donne e una terza persona che è il testimone di quanto accade, ma se La Caméra de Claire gioca su tonalità solari, Le Jour d’aprés è cupo, come la disperazione degli amanti, intrappolati nella frustrazione dei propri sentimenti. L’introduzione di un terzo elemento nella storia, punto di vista e sguardo modifica il dispositivo del suo «discorso amoroso».

Non più la coppia in un incontro con le sue possibili declinazioni ma una sorta di denudamento soprattutto della figura maschile, qui rivelata nella sua impotenza, nell’incapacità di compiere un gesto, di fare una scelta al punto di affidare l’invenzione di una nuova narrazione confortevole per tutti all’amante. Ma l’evidenza in Hong Sang-soo è mutevole, si disperde tra molte piste, passato presente flash-back furtivi, risvegli bruschi, ritorni dolorosi. La nascita dell’amore e la sua letteratura. L’invenzione del cinema nel mondo.