Jacob Anderson non è l’artista che ti aspetti. Molti lo ricordano per il suo ruolo nella lunga saga di Games of Thrones dove ha rivestito i panni del taciturno guerriero eunuco Grey Worn (verme grigio), capace però di improvvisi scoppi d’ira. Ma il ruolo di attore va stretto al trentenne performer nato a Bristol, così da inventarsi anche un alter ego con cui assecondare la sua seconda grande passione: la musica. Raleigh Ritchie è quindi il suo «doppio», un soul man decisamente più vulnerabile che misura le sue capacità di cantante e autore su sonorità moderne ma che si confronta anche con reminiscenze seventies. Andy è il suo secondo disco, il primo You’re man now a boy è uscito nel 2016 ma nel frattempo ha collaborato anche con il nome più importante dell’affollata scena grime londinese: Stormzy.

«Andy» ha suoni curati e una decisa propensione al soul, con molti riferimenti alla vecchia scuola. Qual è il suo approccio nella composizione: assecondare i personali gusti musicali o accettare qualche compromesso?

Penso che il modo in cui ho sempre scritto sia visivo – e qui viene in soccorso la mia esperienza di attore. Più che a suoni penso a delle immagini, i testi sono invece basati sul sentimento, quindi cerco di non essere troppo rigido al riguardo. C’è stato sicuramente uno sforzo concertato da parte mia e di Chris (Loco, il co-produttore insieme a Grades, ndr) per assicurarci che il disco risultasse il più possibile coeso. Nessun compromesso. Sono orgoglioso del mio primo album, ma sembra un po ’come una raccolta di ritagli, è disordinato. Per Andy ho voluto operare in maniera più meticolosa.

«Aristocrats» è uno dei pezzi di punta del disco e anche un video diretto da lei stesso. Una sequenza di immagini che ha un sottotesto chiaro: una storia della comunità nera in Inghilterra. E anche una dichiarazione di amore per la Gran Bretagna, dove non sempre lei si sente accettato…

Non è che amo l’Inghilterra, è solo che sono nato qui, quindi ho una certa lealtà o attaccamento ad essa. Una lealtà che per la maggior parte non si sente ricambiata. Il video parla della cancellazione da parte di questo paese della storia della comunità nera, e dell’effetto che ha sulla tua salute mentale e sul tuo senso di sé se cresci qui come BIPOC («black, indigenous and people of color», la definizione per indigeni e persone di colore, ndr). Volevo mostrare nel video riferimenti alla Storia sottolineando il fatto che se non siamo in grado di ricordare situazioni, persone, vicende, tutto viene seppellito: perché non ci è permesso avere cose belle..

Jacob Anderson, l’altra incarnazione di Raleigh Ritchie, in una scena di Games of Thrones con Nathalie Emmanuel

L’idea di scegliere due nomi d’arte differenti per il cinema, la televisione e la musica, testimonia il desiderio di separare le due anime della sua personalità artistica?

Penso di aver bisogno di costruire protezioni attorno a me perché di fatto mi sento vulnerabile. È un po’ questa la ragione. Il motivo per cui ho intitolato l’album Andy era per proteggere quello che c’era dentro. Mio nonno (Andy era il suo soprannome, ndr) è sempre stato nei miei confronti una figura protettiva quando ero piccolo, quindi è come se stesse vegliando su di essa. I temi che affronto nei testi sono personali: non è stato facile, ma raccontandoli come se si trattasse di un altra persona, mi dà più sicurezza. Non voglio limitarmi a dire ciò di cui ho bisogno, ma è troppo vulnerabile se viene da Jacob Anderson e quindi deve arrivare attraverso Raleigh Ritchie. È solo una sottile percezione che ho fatto per me stesso, non c’è una vera divisione fra Jacob e Raleigh…

In che modo crescere a Bristol ha influenzato la sua decisione di lavorare nel mondo dello spettacolo? Cosa lo ha spinto a compiere la metamorfosi in musicista professionista?

La musica è nel dna di Bristol, lo percepisci da mille particolari. E poi da sempre resiste una fiorente industria intorno al settore, composta da persone che adorano suonare e cantare. Chiaramente se ti senti dentro un ambiente così stimolante è inevitabile fare questa scelta. In termini di «salto», non credo di averlo mai fatto. Faccio musica da quando avevo 14 anni e produco canzoni da quando ne avevo 16. Penso che il salto sia stato solo che ho ottenuto un contratto e ho avuto una piattaforma più grande.

È stato difficile bilanciare musica e recitazione, specialmente durante la sua lunga permanenza nel cast di «Game of Thrones»?

Non proprio. L’ottava stagione di GOT ha richiesto un bel po’ di tempo così come la lavorazione dell’album ma ho saputo ben districarmi, era gestibile. Abbiamo registrato la maggior parte di questo disco in blocchi, andavamo in uno studio residenziale per una o due settimane alla volta e potevo concentrarmi sulla scrittura.

Cosa le ha lasciato l’esperienza di Got e su quali progetti sta lavorando? Pandemia permettendo …

GOT è stato semplicemente molto divertente. Ho avuto modo di vivere alcune delle mie fantasie d’infanzia insieme a persone, colleghi con cui ho passato anni bellissimi. Adoro recitare e fingere di essere qualcun altro e il personaggio che ho interpretato nella serie mi ha permesso di esplorare diversi lati della sua personalità. Credo che il cambiamento più grande che ha apportato alla mia vita sia stato più sulla percezione che le altre persone hanno di me, sia come persona che come musicista. Ma ora ho capito che non è qualcosa di cui ho il controllo. Per quanto riguarda il futuro, sto scrivendo sceneggiature per film e televisione; un progetto conto terzi e un altro per me stesso.