«Quanto sono arrabbiata? È meglio che non lo sappiate. È meglio che non lo sappia nessuno»: è con queste parole che si presenta Nora Eldridge, furibonda protagonista di La donna del piano di sopra, il nuovo romanzo di Claire Messud (Bollati Boringhieri, pp, 316, euro 17,50) pubblicato a sette anni dal suo grande successo internazionale, I figli dell’imperatore (Mondadori 2007). Un tempo l’avrebbero chiamata zitella, adesso il termine più consueto è single, comunque sia Nora è consapevole di come non sia cambiata l’indifferenza del mondo nei confronti delle donne come lei: «Non siamo le pazze in soffitta: quelle ricevono sempre un sacco di attenzione, in un modo o nell’altro. Siamo le donne tranquille in fondo al corridoio del secondo piano, quelle che non sgarrano mai con la spazzatura, quelle che sorridono e salutano allegramente sulle scale, e che, dietro la porta chiusa, non fanno mai rumore. Nella nostra vita di tranquilla disperazione, noi siamo le donne del piano di sopra, con o senza un maledetto soriano o un fastidioso labrador saltellante, e neanche un’anima si accorge che siamo furiose».

Nora si sente invisibile da anni, da quando ha rinunciato a una prestigiosa carriera in uno studio di consulenza gestionale e a una vita scandita da viaggi e colazioni di lavoro per inseguire il sogno di una vita dedicata alla crezione artistica. La sua fase ribelle è durata però pochi mesi: la collezione di scarpe di Christian Louboutin, il simbolo del suo successo professionale, ha lasciato presto il posto alle pantofole di sua madre, colpita dal morbo di Lou Gehrig. Per assisterla Nora torna «sulla strada del lavoro retribuito», si laurea in pedagogia e inizia a lavorare come maestra in una scuola di Cambridge, in Massachusetts: ha trent’anni e pensa si tratti di un ripiego temporaneo. È invece l’inizio di un decennio in cui Nora sentirà di vivere diverse vite. Una vita pubblica, in cui è «una donna sulla trentina modestamente realizzata, capace se non interessante, alacre, dinamica»; una vita privata, in cui è «semplicemente una figlia, una brava figlia», e poi c’è la terza vita, quella segreta e vera, in cui Nora si dedica alla creazione dei suoi diorami, ricostruzioni in scala ridotta delle stanze di donne celebri, da Emily Dickinson e Virginia Woolf ad Alice Neel e Edie Sedgwick. All’inizio dell’ennesimo anno scolastico, nella classe di Nora arriva un nuovo bambino, Reza Shahid, otto anni, un contegno dai tratti quasi adulti, e una dolcezza che suscita nella maestra sin dal primo giorno un’emozione in cui si fondono il desiderio di maternità e una possessività dai tratti inquietanti: «Già da quel momento mi innamorai della sua nuca, dei riccioli neri ben pettinati che lambivano l’irregolare linea costiera lungo il liscio, fragile promontorio del collo». Reza è il figlio di Skandar, uno studioso parigino di origine libanese che si trova all’Università di Harvard per un anno sabbatico. Con lui c’è la moglie Selene, altrettanto esotica (è di origine italiana) e affascinante agli occhi di Nora.

Quando un attacco razzista subìto da Reza nel cortile della scuola avvicina le due donne, Nora scopre che Selene è una artista di successo ed è alla ricerca di qualcuno con cui condividere le spese dello studio che intende affittare durante il soggiorno negli Stati Uniti. Per Nora è l’inizio di una nuova vita, in cui si sente inondata di energia creativa: «Era come avere undici anni e voler stare sempre con la tua migliore amica. Se mi svegliavo tutte le mattine con tanto entusiasmo, se vedevo ogni foglia, tazza o mano di bambino meticolosamente delineata come un miracolo della natura, immersa in una luce superiore, era perché nel mio cuore custodivo la possibilità quotidiana di una conversazione, di un’avventura con Selene», Presto le amiche di sempre cominciano a sospettare che Nora sia innamorata di Selene. Le cose però non sono così semplici, perché quanto gradualmente emerge dalla ricostruzione della narratrice – che racconta a distanza di anni gli eventi di quel fatidico inverno del 2004 in cui gli Shahid entrarono nella sua vita – è che in effetti la sua passione è diretta verso l’intera famiglia: desidera le attenzioni di Selene, è lusingata da quelle di Skandar, e accetta con entusiasmo quando i due le chiedono di fare da baby-sitter a Reza durante le loro assenze: «Se fossero stati un pasto, avrei mangiato tutte le portate con uguale piacere: ciascuna così distinta, con un sapore così unico. Non riuscivo a concepirli tutti insieme, su questo devo essere chiara, perché altrimenti potreste pensare che fossi affezionata a una famiglia … Ero innamorata di Reza. Ero innamorata di Selene. Ero innamorata di Skandar».

Inebriata dall’euforia che le procura essere finalmente vicina a persone di successo, Nora si sente per la prima volta «reale». «Non era così che si diceva negli anni Sessanta? Realizzarsi?». E non si accorge della rete di inganni in cui sta inesorabilmente scivolando, una rete che Nora riuscirà a cogliere in tutta la sua feroce complessità solo a anni di distanza. Claire Messud descrive con abilità geometrie amorose limpidamente crudeli, in cui combina le atmosfere di Closer – film che non a caso viene citato esplicitamente – ai costanti riferimenti al racconto di Cechov «Il monaco nero», sulla cui struttura La donna del piano di sopra si innesta. L’autrice non fa mistero dell’ambizione di proporre una riflessione sul rapporto tra la creatività femminile e i modelli di genere e dissemina il testo di indizi: Nora condivide il nome con la protagonista di Casa di bambola di Ibsen, e la sua creatività si esprime infatti nella costruzione di diorami, «case di bambola» in cui colloca figure di donna ribelli, icone di una trasgressività cui vorrebbe ispirarsi. Inoltre nell’originale inglese il nome della bella Selene è Sirena, e se questo ci induce a immaginare una pericolosa incantatrice, non siamo lontani da quello che il romanzo ci rivelerà nello sconvolgente (per Nora) finale.

Si ha talvolta l’impressione che Messud abbia costruito questo romanzo come una sfida deliberata alle aspettative dei lettori. L’intera storia è narrata in prima persona da Nora, che rimane fino alla fine una figura nei cui confronti è difficile provare simpatia: conformista, pavida, affascinata dalle persone «di successo» e incapace di provare interesse per coloro che non lo sono. Nora sogna di assorbire il fascino cosmopolita degli Shahid, grazie alla loro vicinanza si illude – come l’eroe del «Monaco nero» – di essere a sua volta una figura straordinaria, libera dalla gabbia di banalità che imprigiona le persone che la circondano. Ancora una volta Messud ritorna così ai temi al centro di I figli dell’imperatore: il culto delle celebrità negli Stati Uniti contemporanei e le conseguenze esiziali della lotta per il successo. Quello che però in quel romanzo veniva dipanato in una narrazione di ampio respiro in cui i percorsi dei protagonisti contribuivano a disegnare un quadro della società americana alla fine del ventesimo secolo, rimane nelle pagine di La donna del piano di sopra ossessivamente confinato nelle stanze delle protagoniste: il risultato è un romanzo-diorama, cesellato in modo meticoloso e saturo di una rabbia ancora informe, in attesa di un pretesto per esplodere.