A Santa Coloma de Gramenet, quasi 17mila abitanti per chilometro quadrato, l’1 ottobre sarà una domenica come le altre. Nel 2014 fu una delle città che meno partecipò al primo «referendum informale» sull’indipendenza catalana. Dei 120mila colomensi che popolano le sue colline, meno del 18% degli aventi diritto si recò alle urne.

«VIVO E LAVORO QUI DA 55 ANNI e sono spagnolo, punto. Non m’importa di quel che accadrà domenica» risponde il 70enne Manuel mentre passeggia per il centro aiutato dalla moglie. Manuel si trasferì qui con la famiglia da Jaén, Andalusia, per lavorare in una delle fabbriche della periferia. La sua storia è l’emblema di questa città, che il fiume Besòs separa dal centro di Barcellona . Come lui sono moltissimi i residenti che non possono dichiararsi 100% catalani. Persino Gabriel Rufián, diputato di Esquerra Republicana e protagonista mediatico del processo indipendentista, è nato qui da genitori di origine andalusa.

 

Santa Coloma de Gramenet
Una veduta di Santa Coloma de Gramenet

 

Da Barcellona, Santa Coloma appare come un accomulo in bianco e nero di case vecchie, industrie chiuse ed edifici di recente costruzione. Per le strade si sente parlare più castigliano che catalano. È sempre stato un quartiere operaio, raccontano, e il suo pil pro capite è tra i più bassi della provincia. Per contro, il tasso di disoccupazione è tra i più alti della Catalogna.

Lungo la salita che porta al parco di Can Zam nessun balcone espone la estelada. Alba, 18 anni, mamma colomense e padre di Toledo, legge un libro sdraiata su una panchina. «I problemi che abbiamo non si risolvono certo con l’indipendenza» racconta, ammettendo anche la diversità d’opinione con molti suoi colleghi della capitale catalana.

ALBA LAVORA A BARCELLONA, dove gli indipendentisti si spartiscono con i visitatori i punti nevralgici della città e tutto, dai muri alle vetrine dei negozi sulle ramblas, parla del referendum di domenica prossima. Se non fosse per alcune sparute riunioni di protesta, nel centro città i contrari alla consultazione rimarrebbero nell’ombra.

Qui invece, fuori dalla circonvallazione est, sono gli indepe a temere il giudizio degli altri. «Sto zitta perché non voglio rovinarmi le relazioni in paese, ma domenica io e la mia famiglia voteremo Sì» racconta Carmen, 43 anni, catalana come il marito Jorge.

Anche loro, come tanti nel centro di Barcellona, fanno dell’indipendenza una questione di “sentimento”: «Chi non è nato qui o non ha famiglia catalana non può capire, e a Santa Coloma sono in tanti a non poter capire» dicono indicando le due amiche sedute allo stesso tavolino. Sono Lolli ed Ester, una originaria di Saragozza (Aragón) e l’altra figlia di immigrati di Cordoba (Andalusia), e si affrettano a rispondere che «è vero, domenica non andremo a votare».

In serata la sindaca socialista di Santa Coloma, Núria Parlon, interviene in un seguitissimo programma televisivo. I bar lo trasmettono facendo felici i clienti, che per una volta sentono in prima serata il nome del paese dove vivono. La sindaca conferma che non concederà nessuno spazio pubblico al referendum di domenica e condanna il governo di Rajoy, «uno dei principali responsabili dell’odio spagnolo verso la Catalogna».

A BARCELLONA c’è chi fa dell’indipendenza un problema storico e chi tira in ballo il malgoverno. Quelli che elencano supposte virtù catalane e chi snocciola dati (falsi) su una Catalogna formica e una Spagna cicala. Francisco, pensionato «colomense da tutta una vita», interviene con rabbia: «Non è questione di spagnoli o catalani. Qui tutti abbiamo dovuto lottare, chi per un lavoro chi per ottenere un ambulatorio pubblico. A Santa Coloma conosciamo il valore delle vere battaglie, e questa non ci appartiene».