Tra le molte cose affascinanti delle ultime fasi della carriera di Paul Schrader è il trasporto con cui – per affinità e per necessità, come si faceva nell’exploitation anni sessanta/settanta- il regista di American Gigolò e sceneggiatore di Taxi Driver ha lasciato che i cambiamenti tecnologici e generazionali in corso contaminassero il suo cinema. Da The Canyons, finanziato via Kickstarter e distribuito online, al prete ambientalista con giubbotto suicida del suo magnifico ultimo lavoro, First Reformed, alla troupe di first timers con cui ha girato Dog Eat Dog, Schrader sembra determinato a dialogare più che mai nel presente, usandone tutti gli strumenti a disposizione.

Tre anni fa, servendosi di magliette di denuncia (legalmente, non poteva parlare), aveva raccontato via Facebook, insieme al suo cast (Nicolas Cage e Anthony Yelchin) lo scippo del suo ultimo film, Dying of the Light, da parte dei produttori che lo avevano venduto a una piattaforma di VOD, senza lasciargli completare il montaggio, che avrebbe richiesto ulteriori investimenti in tempo e denaro che loro non volevano fare. Il film era uscito con il suo nome nei credit (anche lì per ragione legali non poteva toglierlo) ma non era il suo. Oggi Schrader – dopo aver cercato invano di riacquistarlo – ha trovato il modo di riappropriarsi artisticamente di quel lavoro perduto.

Lo ha fatto servendosi dell’unico materiale che aveva a disposizione – non i master, ma il dvd della versione apocrifa, qualche suo cut, e il montatore Benjamin Rodriguez Jr. , che aveva già contribuito il suo stile espressionista, non lineare (ha studiato con Hank Corwin, autore del montaggio di Natural Born Killers e con Malick per Tree of Life e Song to Song) a Dog Eat Dog. Il risultato della loro collaborazione, ha un nuovo titolo, Dark, e una nuova durata (70 minuti invece dei 94 di Dying of the Light). Include alcuni dei materiali di partenza ma anche riprese di quei materiali, fatte dal monitor con il telefonino -immagini dalla qualità degradata, spesso parziali rispetto all’inquadratura originale, o deformata da un nuovo movimento di macchina che interviene su quello già esistente.

E, sembra, anche home movies del regista da bambino. Il tutto per una dimensione allucinatoria, frammentata, che ben si accorda alla storia di un veterano della Cia (Cage), afflitto da un male incurabile che gli disintegra il cervello davanti ai nostri occhi, mentre insegue in tre continenti il terrorista che credeva morto da anni. Questo trattamento «alla Brackhage» della trama – dice oggi Schrader, che sembra essersi divertito moltissimo alla rielaborazione – era la chiave che stava (ancora) cercando quando gli portarono via Dying of the Light . Dark non può essere distribuito perché Schrader non possiede i diritti del girato, ma è depositato, e consultabile, presso l’archivio della UCLA e all’Harry Ransom Center della University of Texas di Austin. Si tratta, meno che di un director’s cut, che di un film completamente diverso. Che è anche un manifesto teorico e una dolce vendetta.