Una grande attrice di oggi per una grande diva di un secolo fa. Anzi la Divina Sarah (all’India ancora stasera e domani alle 18) come da titolo, per quello squarcio tardo biografico della Bernhardt che Anna Bonaiuto rivive e offre davanti a scogliere infuocate che dovrebbero evocare la casa di Belleville in Bretagna dove l’attrice passò i suoi ultimi giorni. Il testo nasce dal Memoir di John Murrell adattato per la scena, in francese, dalla consumata abilità di Eric Emmanuel Schmitt, e quindi tradotta in italiano da Giacomo Bottino.

Forse tutti questi passaggi di lingua e di linguaggi non giovano a dare spessore alle parole della divina, ai suoi deliri e alle sue memorie simili a egocentriche indagini analitiche (un campo di affezione per Schmitt, che in precedenza ha portato in scena direttamente Freud). O forse è la regia di Marco Carniti, fin troppo discreta ed esterna, a rendere meno godibile del previsto quella sorta di teatro all’ennesima (e privatissima) potenza attraverso il quale la Divina ripercorre la sua vita, il suo successo, e soprattutto i suoi amori.

Questo avviene nonostante Anna Bonaiuto e il pure bravissimo Gianluigi Fogacci, non si risparmino a inscenare (divertiti e divertenti) incontri improbabili, tra episodi reali e astrusità debordanti, che di Sarah Bernhardt costituiscono oggi la memoria, a fianco alla sua acclarata grandezza di attrice, al miracolo dei suoi movimenti nonostante l’incidente alla gamba, all’Amleto leggendario da lei interpretato nella patria di Shakespeare.

La divina e il suo servo passano da un ricordo (e un amante) a un altro, lei irrefrenabile e forse anche consapevole della propria mendace follia, lui arreso e sornione nel farsi complice di tanta eruzione esibizionistica. In cui il mito prende corpo, senza più nessun sipario a proteggerlo.