«Non è l’AntiLeopolda», «non è la nascita di un correntone» e per carità «non è l’annuncio di una scissione», vade retro satana. Quello che non è, è chiaro, a parole. Quello che è invece molto meno, questo Teatro Vittoria strapieno (battutaccia su twitter: «Il Teatro della Sconfitta era già occupato»), zeppo di «compagni» delle tre minoranze Pd (Area Riformista, Sinistradem e Retedem tradotto in ordine di grandezza bersaniani cuperliani ed ex civatiani). Compagni delusi e infelici. E pure sfortunati: accolti all’ingresso dal faccione di Marco Travaglio con un’enorme lingua, è in cartellone il suo spettacolo «Slurp», sembra uno sfottò in contumacia. Non è l’AntiLeopolda, insiste la prodiana Sandra Zampa, infatti qui è tutto un tricolore Pd, solo in platea ce n’è dodici. Però sul palco ci sono sei incolpevoli giovani che twittano: per dire a ’Matteo’ che la tecnologia è arrivata anche a quelli del gettone.

Allora cos’è, una testimonianza di esistenza in vita dell’area, anzi delle tre aree, visto che non è neanche la nascita di un correntone? Certo è un momentaccio per gli sconfitti del congresso del 2013, un momentaccio che da allora non passa. Anche le proposte in vista del nuovo congresso (da statuto nel 2017) sono le stesse del vecchio: superare la coincidenza tra segretario e premier, «ha depresso partito», dice Roberto Speranza al calcio di inizio. Ma non è un vero calcio, è un colpetto appoggiato su un pallone sgonfio: le parole d’ordine della sinistra Pd un tempo forti («reddito di cittadinanza», «matrimoni gay», «no all’Italicum», «Il Pd sommatoria di comitati elettorali, le porte girevoli del trasformismo sono spalancate») ma ormai sono solo parole, oggi che è chiaro che Matteo Renzi se ne infischia: nella sua doppia veste di segretario e premier.

Le riforme sui diritti sono al palo. Lo sottolinea Emma Bonino qui in veste di «militante radicale», icona antirenziana suo malgrado (ministra di Prodi e di Letta, Renzi non volle confermarla agli Esteri) e vera special guest della giornata: «Sulle unioni civili finirà che papa Francesco ci spiegherà come farle».

Quanto alle riforme costituzionali, alla fine votate dalla minoranza, qui ci si guarda bene dal dire che fra qualche mese il renzismo entrerà in guerra in difesa del nuovo senato al referendum confermativo: che farà la minoranza? Combatterà a spada tratta per una legge ingoiata obtorto collo? Non è un caso che non c’è Rosy Bindi: non è intruppata nella Ditta e ha già detto che voterà no. Né c’è Massimo D’Alema: l’ultima volta che è andato a una riunione della minoranza ha monopolizzato le telecamere e fatto saltare i nervi a Cuperlo.
C’è invece Bersani, che non parla per fare largo ai giovani. Tranne dire – a margine ma mica tanto marginale – che chiedere le dimissioni di Maria Elena Boschi per conflitto di interesse, come fa Saviano, «è un’esagerazione». E c’è Alfredo Reichlin, sfortunato padre della formula «partito della nazione» che con malizia burlona Renzi (il premier «flamboyant», copyright Piero Ignazi) ha fatto diventare il logo della sua stagione politica: qui la formula è considerata il male assoluto. Tant’è che al sindaco di Firenze Dario Nardella che ne propone la versione ultrà, o semplicemente sincera di «fine dello schema destra-sinistra» replica Sergio Lo Giudice: «Una risposta desolante alla lettera dei sindaci». Ovvero il trio Pisapia-Doria-Zedda che chiede di non archiviare l’alleanza a sinistra.
E qui siamo al core business della giornata che infatti si intitola «Per un nuovo centrosinistra». «Non si costruisce il centrosinistra con il centrodestra. La lettera dei sindaci va nella direzione giusta. Non va un’idea del Pd che rade al suolo tutto o al massimo lo ingloba», dice Speranza. «Un appello prezioso, è tempo di ponti», aggiunge Cuperlo, che però poi per dare un colpo anche alla botte se la prende con chi «immagina una sinistra vincente contro il partito più grande: una fuga dalla realtà». Non a caso fra gli invitati Massimiliano Smeriglio, vice di Zingaretti nel Lazio e capofila del coté dialogante di Sel: «I sindaci sono arancioni ma anche rossi», dice «sono tre persone per bene, ma per rispondere al loro appello bisogna costruire un ponte».

Però a fine giornata il tanto evocato ponte per il centrosinistra non si vede. Non si vede come, concretamente, si dovrebbe riaprire il dossier seppellito dal famigerato partito della nazione. Non arriva una proposta sul piano nazionale: l’assemblea non va oltre la geremiade contro l’Italicum che con il premio alla lista cancella le alleanze. È considerata una battaglia persa, la riaprirà Renzi se vorrà, bontà sua. Anche sulle amministrative non arriva uno straccio di idea per rimediare, per fare un esempio, al pasticcio milanese della partecipazione alle primarie dell’ex city manager di Letizia Moratti, Giuseppe Sala.
«Senza di noi il Pd diventa un’altra cosa», è il finale di Cuperlo. Non rendendosi conto, o non volendosi dire, che il Pd è diventato già un’altra cosa. Con loro.