A venticinque anni dall’uscita nelle sale dell’arcipelago giapponese del lungometraggio animato Ghost In The Shell, diretto da Mamoru Oshii ed ispirato al manga creato da Masamune Shirow nel 1989, la saga della Sezione 9 e del maggiore Kusanagi continua ad espandersi.

È infatti uscita lo scorso 23 aprile su Netflix una nuova serie animata, la prima tutta realizzata in computer graphic, che riprende e continua le vicende narrate nell’universo di Ghost In The Shell – Stand Alone Complex, quello che è stato il primo lavoro televisivo ambientato nel mondo inventato da Shirow e che andò in onda fra il 2002 ed il 2005. All’inizio del millennio la serie fu un successo di pubblico e di critica tanto per l’aspetto tecnico – animazioni design – quanto per il taglio che sapeva ben intrecciare politica, tecnologia e problematiche filosofiche, in un epoca in cui la rete si stava evolvendo in quello che poi sarebbe diventata venti anni dopo.

QUESTI ULTIMI quindici anni hanno visto una moltiplicazione dei prodotti legati al franchise, da videogiochi ad un’altra serie televisiva, da animazioni per il grande schermo fino al deludente live action di qualche anno fa con protagonista Scarlett Johansson. Anche se dai primi due lungometraggi diretti da Oshii e dalla citata serie S.A.C. la qualità dei lavori è purtroppo in calo (la serie ed i lungometraggi Arise avevano ad essere sinceri un design bello e originale) Ghost In The Shell resta comunque per gli appassionati un franchise da seguire.

Le aspettative per Ghost In The Shell 2045, una nuova serie dove a dirigere ritorna Kenji Kamiyama, già responsabile per la serie del 2002, erano quindi abbastanza alte, anche contando il fatto che si tratta di un lavoro targato Netflix e che a codirigere è stato chiamato Shinji Aramaki, regista ed esperto di animazione in computer grafica.

LA SERIE, realizzata come quasi sempre dalla Production I.G., ma qui coadiuvata dalla Sola Digital Arts, è ambientata circa un decennio dopo la conclusione di quella originale. In un mondo sconvolto da una catastrofe che ha portato ad un meltdown economico globale, le quattro potenze mondiali rimaste sono impegnate in un costante stato di «guerra sostenibile» per far andare avanti l’economia, un po’ come succedeva in The Sky Crawlers di Oshii. La Sezione 9, il gruppo capeggiato dal maggiore Kusanagi, è stato smantellato ed ora la ragazza cyborg protagonista, con altri superstiti del nucleo, fra cui Batou, lavora come mercenaria in California.

Le cose cambiano con l’arrivo di una nuova minaccia: coloro che vengono definiti «post humans», che guidano segretamente, forse, una sorta di rivolta contro l’ordine costituito cercando di scatenare il caos. Le dodici puntate di Ghost In the Shell S.A.C. 2045 avranno un seguito nella seconda stagione ( la data non è stata ancora annunciata) che presumibilmente concluderà l’arco narrativo e risponderà alle tante domande lasciate in sospeso alla fine dell’ultima puntata.

PURTROPPO fin dalle primissime scene si nota come l’uso della computer graphic non sia all’altezza di un lavoro realizzato nel 2020 e con un certo budget a disposizione: il risultato visivo è decisamente insoddisfacente. Non tanto nel design, qui realizzato dall’illustratore russo Ilya Kuvshinov, che può piacere o meno, quanto nei movimenti e nella caratterizzazione dei personaggi e anche di alcuni paesaggi, dove sembra di stare davanti ad immagini provenienti da un videogioco di venti o più anni fa. Succede un po’ quello che già era accaduto con la serie animata in computer grafica di Godzilla, dove le idee e la trama erano molto originali ed inventive, ma la realizzazione lasciava molto a desiderare.

È UN VERO peccato perché, nonostante la storia ritorni su alcune tematiche già viste e trattate nel franchise o in altre serie di science fiction – il connubio macchina uomo, i pericoli di una società costantemente connessa e di un modo guidato dall’economia – lo fa in maniera abbastanza intelligente. Il tocco di Kamiyama si sente: 009 Re: Cyborg, il lungometraggio che il giapponese ha diretto nel 2012, era tutt’altro che perfetto, ma aveva al suo interno delle interessanti intuizioni narrative.

Anche in questa serie si toccano alcuni punti nevralgici per la società contemporanea come un’economia quasi fittizia, l’internazionalizzazione della popolazione o il progressivo invecchiamento della stessa. Senza contare poi che alcune tematiche hanno dei paralleli molto stretti con quello che sta succedendo o che potrebbe succedere fra pochi mesi nel nostro pianeta. Nella delusione va fatto un plauso però agli autori che nell’ultimo episodio, forse il più riuscito visivamente dell’intera serie, hanno almeno saputo rischiare e sperimentare con lo stile.