A un anno dalla scomparsa della studiosa Giovanna De Angelis (Storia della narrativa italiana del Novecento. 1900-1922, Feltrinelli; Le donne e la Shoah, Avagliano, la curatela dell’antologia Disertori per Einaudi Stile Libero) e editor (alla fiction presso Einaudi Stile Libero, alla straniera per Fazi e con TimeCrime per Fanucci) arriva in libreria La frattura (Elliot, pp.160, euro 16,50).

È la storia di Francesca – donna giovane e bella, borghese, intelligente – e del suo mondo. A Roma ha un marito affettuoso, una madre assente, gli amici di sempre e il vecchio professore dell’università a cui la lega l’amore per la traduzione. Poi c’è Diego, cultore universitario e partner in una relazione scandita da clandestine mattinate di sesso e poche parole. Un rapporto da cui Francesca non si lascia illudere: «Ogni affanno che ci si sceglie è un modo per differire la morte, per sottrarle il controllo del proprio tempo inventando nuovi inizi, nuove occasioni».

Quasi un presagio. Perché, di colpo, l’equilibrio si spezza. È una malattia inattesa e terribile a provocare questa crepa, assieme ai colpi inferti dalla cura. Mentre la nuova routine è aspra e dolente. «La terapia, il reparto che riapre le porte, una mascella di ferro, plastica e vetro pronta a masticarla e a risputarla fuori barcollante e col sangue pulito».

Sono pagine in cui si respira un’aria tutt’altro che mefitica. Non il tedio dell’ospedale, vinto con l’aiuto dei libri e tanta ironia, non l’orrore della cura («Lo sguardo d’acqua, il profilo tagliente e la bocca muta»), né il sapore acerbo del vomito. Ma sì, un romanzo in bianco e nero, crudo, essenziale, spietato, dove la malattia resta senza nome: mai protagonista della storia o padrona dell’io, mai fulcro emotivo del libro. Il male, e il dolore che porta con sé, sono lì, non esibiti, parvenze silenziose e radicate. Si trasformano in un luogo privilegiato da cui è dato osservare, con una prospettiva altra, la vita, le cose, la gente. La normalità degli altri. Una distanza incolmabile. «Che legame ci può mai essere tra il suo letto e l’altrove dove i suoi interlocutori consumano i propri riti, tra il suo navigare a vista e il loro certissimo domani». Proprio quando Francesca inizia a migliorare e ad abituarsi alle insistenti attenzioni dei suoi cari, Diego scompare. Agli sms di lei, lui risponde in ritardo, freddo e impersonale. Assente. Poi, la lenta presa di coscienza. Quei silenzi non sono altro che il terrore dell’amante per «una precarietà nella quale aveva riconosciuto un’imminenza di morte».

Una voce afona e minuta, appena percepibile, roca e sussurrata, attraversa la vicenda spezzandola con qualche sporadico corsivo. Un diario interiore in presa diretta, senza il filtro della narrazione. Un’insistente tessitura d’immagini, considerazioni, sentimenti di grado zero. Ombre dell’amaro impulso vitale che alimenta questo romanzo elegante e – per chi ha potuto godere dell’intelligenza e della personalità di Giovanna De Angelis – dolorosamente postumo.