«Come uscire dalla crisi economica con le ricette del diavolo». È il sottotitolo volutamente provocatorio del pamphlet Mefistofele (Utet, p. 220, euro 13,90), scritto da Elido Fazi, editore di professione, economista postkeynesiano di formazione e passione. E c’è tanto di dedica a Jens Weidmann, «potente neoliberista presidente della Bundesbank, che di solito fa il bello e cattivo tempo in Europa», sostenitore di un’interpretazione diabolica del Faust di Goethe. Infatti il dispotico banchiere utilizzò il testo del patto Faust-Mefistofele per scagliarsi contro la storica affermazione di Mario Draghi, del luglio 2012: «la Bce farà tutto quello che è necessario (whatever it takes) per salvare l’euro». Anche «dare iniezioni di liquidità monetaria». Un grave peccato morale, per Weidmann, convinto che l’atto di creare moneta sia figlio del diavolo Mefistofele, poiché «degenera in inflazione e distrugge il sistema monetario», come, appunto, insegnerebbe il Faust di Goethe.
All’origine di questa interpretazione c’è l’ideologia del debito (dei privati e dei sovrani) inteso come colpa, visto che Schuld in tedesco significa sia debito che colpa, peccato. E allora, nella sempre più incerta «Europa tedesca», solo l’imposizione di austere misure di risanamento dei conti pubblici sembra possa assolvere dalla colpa del debito. Mentre echeggia il terrore dell’inflazione, intesa come «la» tragedia che attraversò gli anni Venti tedeschi, verso il consenso al nazionalsocialismo, che pure Fazi ci ricorda arrivò con le elezioni del 1932, quando la Repubblica di Weimar era già precipitata in un periodo di deflazione. Deflazione che avvolge parte dell’Europa e sicuramente l’Italia, da quindici anni in stagnazione e perciò ora sospesa sul baratro di una Grande Depressione. Con il serio rischio di diventare un paese loser: un «Giappone europeo». Quel Giappone uscito da una deflazione ventennale solo con la massiccia iniezione di moneta imposta nella primavera 2013 dal nuovo premier Shinzo Abe, padre di quella che verrà ribattezzata Abenomics.
Elido Fazi segue questa tendenza e smonta l’ideologia monetarista che ha reso l’Europa ostaggio dell’incubo inflazionistico, sacrificando qualsiasi ipotesi di politiche pubbliche capaci di invertire il ciclo economico depressivo. C’è una storia millenaria che permette di rifiutare il pensiero unico imposto dai «tecnocrati della triste scienza», allievi dei Chicago Boys, consiglieri di Pinochet, Reagan e Thatcher.
Così si risale al sesto secolo avanti Cristo, con Solone che «introduce una radicale e coraggiosa riforma finanziaria, il cui primo punto è la cancellazione, parziale o totale, dei debiti, con la restituzione delle terre sequestrate dai creditori», quella ristretta oligarchia del denaro che aveva messo in ginocchio i piccoli coltivatori diretti. Nell’antica Grecia, come negli Stati Uniti degli anni Trenta del Novecento, con Roosevelt. Solone è quindi il «primo governante a essere cosciente che la moneta è un bene comune della società e che la sua creazione non può essere lasciata all’avidità dei finanzieri privati». È questa la chiave di volta per considerare la moneta e «il credito al servizio di tutti i cittadini di un paese o un’area come l’eurozona, e non soltanto al servizio di una élite finanziaria o di alcuni paesi che, oltretutto, meno ne hanno bisogno». Perché la moneta esiste per legge, non per natura, per dirla già con Aristotele. È un’istituzione creata dagli esseri umani che si associano per godere di un maggior grado di benessere individuale e collettivo. E Fazi ci narra come, proprio a partire da politiche monetarie espansive, sia possibile rifiutare l’austero rigore depressivo, per affermare una moneta comune intesa come ricchezza comune.
Ecco tornare Mefistofele (quello di Fazi, contro Weidmann), che nel Faust consiglia al sovrano dell’Impero indebitato di creare moneta dal nulla, Fiat money, «come per magia», per risanare le finanze, ma soprattutto per dare solidarietà, gioia, serenità alla cittadinanza. Nell’allegoria carnascialesca narrata da Goethe il carro diabolico è trainato dal dio della ricchezza, Pluto, e da quello delle arti e della profezia, Apollo, perché solo dall’incontro di ricchezza e poesia è possibile pensare una vita degna. Le «crisi epocali» esigono economisti poeti, come il Keynes delle Prospettive economiche per i nostri nipoti, uscito a ridosso del grande crollo del 1929 e ricordato in chiusura da Fazi. Nel cuore oscuro di un’Europa oppressa da avari banchieri e ottusi nazionalisti è difficile rintracciare economisti adeguatamente visionari, in grado di adottare le ricette del diavolo. Tanto che Renzi, nella polemica con Weidmann, non è certo sembrato diabolico. Mentre al vertice della Bce pare Goethe sia letto con passione.