Adorno Horkheimer HabermasbyJeremyJShapiro2

Fornire un resoconto sul lascito teorico di un’opera come Dialettica Negativa, in cui convergono le riflessioni e le tensioni speculative dell’intera percorso filosofico di Adorno, non è un’impresa semplice. Le difficoltà sono imputabili ad Adorno stesso: la voluta mancanza di sistematicità argomentativa lascia il lettore con l’impressione che le risposte teoretiche decisive vengano puntualmente eluse e rinviate; l’oggettiva oscurità del suo linguaggio, d’altra parte, se da un lato rende il suo discorso suggestivo e seducente, dall’altro lo fa apparire come un qualcosa di enigmatico, come una pratica esoterica accessibile ai soli iniziati.

Tali difficoltà hanno pertanto influenzato la ricezione dell’opera adorniana, troppo spesso caratterizzata da contributi teorici che si limitano a reiterarne i concetti e le argomentazioni nello stesso linguaggio e nelle stesse forme, o che appiattiscono la riflessione del francofortese sulle tematiche della teoria critica, facendo di Adorno un «banale» critico della società industriale e dei suoi aspetti ideologici. Tutto ciò ha altresì riacceso il sospetto (assai comune fra i suoi detrattori) di una connaturata incapacità di Adorno di saper trasformare le proprie intuizioni e suggestioni in argomentazioni dettagliate e trattazioni sistematiche, quasi autocondannandosi a rimanere incagliato in formulazioni paradossali e spesso autocontraddittorie. Ma Adorno era in realtà capace di ben altro.

Se un certo livello di paradossalità è innegabile, e se è vero che il progetto adorniano è caratterizzato da una sorta di «delusione teoretica» dovuta alla frammentarietà della sua esposizione e alla mancanza di un punto di approdo, è altrettanto vero che di tale incompletezza Adorno stesso era il primo ad esserne consapevole: «La filosofia» – si legge nell’incipit della Dialettica Negativa – si mantiene in vita proprio perché è stato mancato il momento della sua realizzazione». È, anzi, proprio l’idea di una compiuta realizzazione della filosofia a rappresentare, per Adorno, una prospettiva nefasta e minacciosa. Il trionfo di una filosofia che sia in grado di realizzare pienamente e perfettamente il proprio progetto, che sia capace di porre una parola ultima sul reale condannerebbe, infatti, la realtà stessa alla chiusura, all’immobilità, all’accettazione dello status quo, all’impossibilità di esprimere una dimensione altra, nuova, diversa. Una filosofia pienamente realizzata, un pensiero che abbia instaurato un rapporto di piena identità con la realtà, sarebbe pertanto un pensiero morto, che andrebbe contro l’evidenza empirica di una realtà percepita come mutevole, in continuo divenire. Una filosofia giunta al suo compimento sarebbe così incapace di aprirsi alla dimensione della possibilità, impotente nell’esprimere quelle tensioni utopiche che reclamano una condizione di esistenza differente rispetto a quella attuale.

Ed è allora nel mantenimento del momento dell’apertura che si determina la reale posta in gioco, non solo teorica ma anche pratica, della Dialettica Negativa: una dialettica certamente inconclusa e irrisolta, inconciliata, ma che proprio in virtù di questo suo carattere «aperto» mantiene il pensiero nella dimensione della contraddizione, lo costringe a pensare contro sé stesso, tenendo viva la criticità nei confronti dell’esistente; un pensiero che, lasciando irrisolte le contraddizioni, tiene aperte quelle crepe che non sono altro che spiragli dai quali è possibile l’emersione della diversità, di una vita altra, differente.

Perciò è intorno ai temi dell’alterità, della differenza, del non-identico che si svolge la posta in gioco della Dialettica Negativa, che si determina il suo lascito e la sua influenza, a distanza di mezzo secolo dalla sua pubblicazione. Da questo punto di vista l’attualità di Adorno si mantiene viva in quella grande costellazione di approcci teorici quali il post-colonialismo, il decostruttivismo, i gender studies, la spatial turn. Approcci che se da un lato hanno sancito la fine della «teoria critica» intesa come una dottrina organica, sistematica e coerente, dall’altro, proprio in virtù di questa frammentazione e dispersione disciplinare, hanno reso possibile la sua declinazione sotto molteplici aspetti e sotto svariati punti di vista, ampliandone pertanto gli orizzonti di discorso e la portata teorica.

E a confermare l’immutata importanza di Adorno nel panorama del pensiero critico odierno, si terrà un importante convegno in Turchia alla Bogazici University di Istanbul dal 2 al 4 giugno prossimo, la prima «Critical Theory Conference», alla quale prenderanno parte esperti di Adorno di fama internazionale, quali Susan Buck-Morss, Seyla Benhabib, Maeve Cook e Jay M. Bernstein. Si tratta di un evento importante non solo perché celebra il cinquantenario della pubblicazione della sua opera più importante, ma perché orienta per la prima volta la traiettoria emancipativa del pensiero di Adorno al di fuori del mondo occidentale, e il suo approccio poliedrico fornisce una risorsa eccellente per mettere in discussione alcune delle questioni più urgenti della realtà sociale e politica attuale. Appare chiaro, pertanto, il bisogno di rivalutare il pensiero del teorico di Francoforte, al fine di tracciare nuovi percorsi possibili e aprire nuove prospettive in questo stato permanente di crisi sociale e politica dei nostri tempi.