Un giorno, durante una mensa scioloastica, una mia alunna di 9 anni mi ha detto una frase che non scorderò mai. Parole testuali: «Sai, maestro, prima di essere in questa classe con Matteo – un compagno disabie seguito per 24 ore su 40 certificate dall’Asl – a me, quei bambini come lui, facevano un po’ paura. E anche un po’ schifo. Perché non li conoscevo. Invece adesso ho capito che sono bambini come noi e capiscono, si emozionano, ci puoi parlare… Non mi fanno più schifo, ma tenerezza. Non mi fanno più paura».
Basterebbero queste parole per giustificare, se mai ce ne fosse bisogno, la presenza dei bambini diversamente abili nelle classi dei nostri figli. Un valore aggiunto non solo per loro, ma per i nostri figli. Ma si potrebbe anche parlare della loro inclusione come una delle qualità maggiori della nostra scuola pubblica che, fino al 2008, era studiata in tutto il mondo: perché rappresentava non solo una conquista di civiltà, ma anche, nell’ampio perioro, un risparmio economico. Oppure basterebbe ascoltare le parole di un esperto internazionale del problema come il professor Canevaro, fino al 2008 consulente del ministero all’Istruzione, che in quell’anno, per protesta, diede le sue dimissioni motivandole in modo ineccepibile senza che nessun media ne parlasse. Peccato che dal 2008, con i tagli fortissimi ai docenti di sostegno, oggi a scuola si rischi di promuovere il razzismo tra i genitori. Invece della solidarietà a chi ha più difficoltà e meno opportunità iniziali. Perché questi alunni spesso ricadono sui docenti di classe già tartassati. Perché in tanti dicono che con loro in classe si rallenta il famoso programma. Perché nessun docente, purtroppo, possiede ancora il donno dell’ubiquità. E così i bambinin diversamente abili smettono di essere bambini e, improvvisamente, diventano solo un problema.
Ci sono genitori-utenti/clienti della scuola-azienda che chiedono o pretendono, nella scuola pubblica, che nella classe dei loro figli «quelli lì» non siano presenti. Per quanto riguarda le scuole private il problema non si pone: non sono quasi mai ammessi. Farebbero crollare il bilancio. Perchè costano circa venti/trenta volte un bambino «normale». Lo stipendio di un docente di sostegno equivale a quello di un insegnante unico che gestisce 25/28 alunni «normali». Si arriva così, quasi senza accorgersene, all’istigazione alla discriminazione. E’ una delle conseguenze più aberranti e incivili della controriforma scolastica Gelmini. E’ una vergogna nazionale di cui tutti tacciono. Adesso le mamme di questi bambini protestano. Si attiva una rivolta. Si organizzano insieme. Su facebook. Sono diventate un migliaio in pochi giorni. Hanno figli in età scolastica, ma a scuola non ricevono l’aiuto che dovrebbe avere. Almeno stando all’articolo 3 della Costituzione. Si sono rivolte a un giudice.
Per intentare una causa al tribunale civile. Collettiva. Per discriminazione. Nonostante il governo Letta, alcuni giorni fa, abbia annunciato l’immissione in ruolo di oltre 26mila insegnanti di sostegno in tre anni. Troppo pochi. Non bastano. Non vogliono le briciole, per i loro figli. Non vogliono risolvere la soluzione solo per il proprio figlio, ma per i figli di tutte. Negli ultimi 8 anni, secondo la Fish, la più grande associazione in difesa dei disabili, ci sono state almeno 20mila cause intentate da genitori con figli disabili a cui i Tar (i Tribunali amministrativi regionali) hanno dato ragione e torto al ministero dell’Istruzione. Senza docenti di ruolo non è che in classe l’insegnante di sostegno non c’è: ma si deve ricorrere ai supplenti, e si perde la continuità didattica che soprattutto per gli handicap psichici è molto pesante. E la presenza degli alunni con disabilità è in crescita. Sono circa 204mila nella scuola italiana, il 4% del totale, secondo i dati della Fish. Seimila alunni l’anno in più nell’ultimo decennio, ha calcolato l’Istat. Più della metà, 81mila, frequentano la scuola primaria, altri 63 mila studiano nelle scuole medie. Il ritardo mentale, i disturbi del linguaggio, quelli dell’apprendimento e dell’attenzione sono i problemi più frequenti. Uno su 5 (il 19,8%) ha un handicap abbastanza grave e ha bisogno di essere aiutato nel mangiare, o per spostarsi e andare in bagno. Il 7,8% non riesce a fare nessuna di queste tre cose. Alunni che richiedono un’assistenza costante. E la scuola sfigurata dai tagli al bilancio non riesce più e a darla. Con il taglio della spesa pubblica si è ridotto il numero delle ore di sostegno e dalle 22 settimanali previste se si arriva a 11 è già tanto. E quando non c’è il docente di sostegno il bambino viene lasciato in solitudine nella classe. Perso. Seguito a fatica dagli insegnanti di «posto comune» che non hanno una preparazione specifica. E gli insegnanti di sostegno, con gli spezzoni di ore sono spesso costretti a dividersi in scuole diverse. Così corrono da una parte all’altra. Ma non è solo questione di insegnanti. Le amministrazioni locali faticano sempre più a sostenere la spesa. Si affidano a educatori di cooperative sociali senza preparazione e spesso sottopagati a 6 euro l’ora, meno di una baysitter. Ripetiamo: senza esperienze e senza una preparazione specifica. In alcuni casi anche i bidelli, anche loro sempre meno, finiscono per trovarsi ad aiutare nella gestione dei disabili, anche se è una pratica fuorilegge. Così capita spesso che i genitori devono riportare a casa il figlio disabile prima della fine delle lezioni per non lasciarli soli, visto che non è garantito loro il diritto allo studio e neppure un’assistenza adeguata.