Nell’ultima audizione all’Europarlamento di Bruxelles da presidente della Bce Mario Draghi ha spento i residuali entusiasmi di prammatica che hanno accompagnato la formazione del governo «Conte Due» a proposito della flessibilità del bilancio. Pur non nominandoli direttamente, ma alludendo all’Italia e alla Germania, Draghi ha detto che la prima deve «perseguire politiche prudenti e rispettare gli obiettivi di bilancio in termini strutturali». La seconda deve agire in modo effettivo e rapidamente, visto che sta fronteggiando un rallento dell’economia e ha uno spazio di bilancio. «L’efficacia potenziale della politica di bilancio anti-ciclica è rafforzata nell’attuale contesto, dato che i moltiplicatori fiscali sono più alti in un quadro di bassi tassi di interesse» ha detto davanti alla commissione problemi economici e monetari.

LA DISCIPLINA è stata ribadita a quattro giorni dall’aggiornamento del Def che sarà presentato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri venerdì 27 settembre. La flessibilità, se sarà accordata entro i limiti in corso di negoziazione con la Commissione Ue, dovrà rientrare nelle regole del patto di stabilità e crescita. Ma, considerato l’alto debito pubblico da ridimensionare, l’Italia dovrà procedere insieme alla famose e misteriosamente mai sufficienti «riforme strutturali», «l’unico strumento per aumentare le prospettive di crescita». «Le riforme non sono solo quelle fiscali – ha sottolineato Draghi – Ci sono anche quelle per il mercato del lavoro, ma anche dei prodotti, c’è l’aumento della concorrenza, del sistema giudiziario, della scuola».

ORA, TUTTO SI PUÒ DIRE di un paese come l’Italia tranne il fatto che sin dalla metà degli anni Novanta non abbia eseguito come uno scolaretto gli ordini per cambiare le leggi del mercato del lavoro, della previdenza, senza dimenticare scuola e università.

Il BELPAESE è stato il più rigoroso nell’applicare l’agenda neo-liberale di precarizzazione del lavoro senza tutele né garanzie, l’allungamento dell’età del lavoro sempre più precario, inserendo nell’istruzione dosi possenti di ideologia della valutazione ad uso e consumo dell’ontologica centralità del mercato. Anche il «Conte Due» garantirà la stessa agenda al punto da avere evitato accuratamente di mettere in discussione il Jobs Act o la Buona Scuola e la stagione ventennale delle riforme che l’hanno preparata, università compresa. Impossibile cambiare alcunché, con i renziani nel governo, il Pd che non si sa, i Cinque Stelle che si fanno concavi e convessi rispetto al nuovo potere. E tuttavia, nemmeno questa blindatura basta a Draghi che continua a chiedere «riforme». Come le ciliege, vanno via una dopo l’altra. E non hanno mai fine. Tra l’altro, nessuna è servita ad abbassare quel debito pubblico la cui riduzione è giudicata essenziale per ottenere la «flessibilità». Il furore ideologico di queste formulazioni rituali, da nessuno messe in discussione, non cambia sebbene il ciclo economico sia diverso da quello di 25 anni fa. Era il tempo dell’«economia della conoscenza», della «meritocrazia» e del miraggio della mobilità sociale basata sui crediti e i titoli di studio del ceto medio imprenditore di se stesso. I lavoratori avrebbero scambiato i loro posti di lavoro con la flessibilità che non è mai arrivata. L’ideologia non ha funzionato: oggi sono impoveriti, precari, con nessuna prospettiva.

IL CAMBIO d’epoca è ben presente allo stesso Draghi che ha confermato il drastico rallentamento economico dell’Eurozona e un futuro dove non esistono segni convincenti di ripresa. Per il banchiere l’Unione Europea deve rivedere le regole di bilancio concepite un quarto di secolo fa secondo un impianto ormai discusso. Regole che, a parere di Draghi, sono state «efficaci per evitare l’accumulazione del debito, ma non lo sono nelle fasi in cui servono interventi anti-ciclici». Non per l’Italia che, secondo questi parametri, ha visto crescere il suo debito e oggi deve continuare con le ricette che hanno peggiorato la sua crisi industriale e sociale iniziata ben prima della «cura». Gli interventi anti-ciclici andrebbero condotti in osservanza con le regole pro-cicliche che tuttavia si consiglia di cambiare. Le contraddizioni di questo discorso, non nuovo, sono numerose. Ma è inutile attendersi un rinsavimento. Il consenso è sacrale. Il giogo è stretto.

DRAGHI lascia a Christine Lagarde (Fmi) la guida della Bce con un nuovo bazooka monetario da 20 miliardi al mese senza scadenza. L’alluvione monetaria che non è sgocciolata verso l’economia reale potrebbe essere l’anticamera di un nuovo taglio dei tassi, se sarà necessario. In attesa che i governi – entro certi limiti -inizino politiche fiscali espansive. A chi ieri ha chiesto cosa farà il giorno dopo la fine del suo mandato previsto il 31 ottobre Draghi ha detto di non avere ancora idea. Offerte di lavoro non mancheranno. A cominciare dal suo paese d’origine.