«Ha parlato a braccio, sarà per questo che si è dimenticato il programma», «ma non ha capito che non era un comizio?», ma no «è la concretezza del sindaco, si rivolge direttamente ai cittadini, per questo ha spiazzato i senatori». Appena Matteo Renzi ha concluso il suo intervento nell’aula di palazzo Madama, dai commenti a caldo in Transatlantico e alla buvette quello che è subito chiaro è che quasi tutti, ammiratori, detrattori e agnostici, si sarebbero aspettati qualcosa di più o di diverso.

Che il segretario dal Pd non sia preoccupato di convincere i parlamentari ai quali sta chiedendo la fiducia (che infatti lo applaudono davvero poco), questo almeno è subito evidente: li tratta come pezzi da museo, sottolineando la «magnificenza del luogo» in cui si trova e quel che «rappresenta nel cuore di una lunga storia» per sfoderare, rivendicandola, quella «brutalità» alla quale sta cercando di abituare anche i suoi. Citazione sanremese vintage, Gigliola Cinquetti , «Non ho l’età» neanche per essere eletto in questa assemblea, e «vorrei essere l’ultimo presidente del consiglio a chiedere la fiducia a quest’aula», da rottamare o quasi. Così, «controcorrente», come ama ripetere (e qui siamo più o meno a Arisa «Controvento»). Per cambiare un paese «arruginito, impantanato, incatenato da una burocrazia asfissiante».

Sorrisi, battute, ammiccamenti, mani che entrano e escono dalle tasche, bigliettini che arrivano e lui straccia lesto, la ministra degli esteri Federica Mogherini e quello degli interni Angelino Alfano seduti accanto a lui (ma pare che il premier avrebbe preferito avere vicino il titolare dell’economia Padoan al posto dell’ex vice di Letta), i 5 Stelle presi di petto. E’ il loro gruppo l’antagonista scelto per questo debutto in parlamento, dopo lo streaming con Beppe Grillo da vendicare, e non solo, perché la competizione non finirà certo qui. La casta adesso siete voi, gli dice il premier: «L’idea che da questa parte c’è la casta e dall’altra i cittadini si è un po’ rovesciata». Ma «noi svolgiamo una funzione sociale nei confronti dei senatori M5S… non è facile stare in un partito dove il capo dice ’non sono democratico’ ma vi vogliamo bene lo stesso». Attento alla resa mediatica più che ai contenuti programmatici (per circa mezz’ora non se ne vede l’ombra) in diretta tv va in onda una «discesa» nel campetto sotto casa, più che in campo. Non ci sono miracoli da promettere, ma «sogni» da coltivare e la quotidianità da affrontare con «coraggio». E’ «il tempo del coraggio», insiste il sindaco d’Italia che sfodera ottimismo come se bastasse la parola, la sua. Perché questa è la sua sfida. Non ci sono «pari portunità, l’opportunità è dispari, ce n’è una sola» e «se perderemo questa sfida, la colpa sarà soltanto mia».

E’ nei prossimi tre mesi, di qui alle europee, che Renzi si gioca la parte più consistente della posta alla guida di quello che vuole definire un «governo politico», non più d’emergenza. A chi da lui si aspetta il «cambiamento radicale» anche per spiegarsi lo sfratto a Letta, dà però pochissimi elementi. Parola d’ordine, guerra ai burocrati: «La politica deve affidare tempi certi anche ai dirigenti. Non esiste il tempo indeterminato, con i governi che passano e i dirigenti che restano e fanno il bello e cattivo tempo. Credo che sia civile il paese che ritiene contestuale il rapporto tra governo e struttura dirigente». Spoil system.

Ma al primo posto mette la scuola, «restituire il valore sociale agli insegnanti», con un impegno settimanale: «Tutti i mercoledì entrerò in una scuola diversa per far capire che da lì riparte un paese». E «il primo passo sarà intevenire sull’edilizia scolastica» allentando il patto di stabilità interno. Poi c’è l’impegno al pagamento di tutti i debiti della pubblica amministrazione, con «un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti». Stesso sistema – non meglio precisato – per per dare ossigeno a piccole e medie imprese. E riduzione del 10% del cuneo fiscale con «misure serie legate alla riduzione della spesa». I risultati saranno «immediati», non è chiaro come. A marzo discussione parlamentare del jobs act e a giugno della giustizia. Finiscono democristianamente nella prossima ricerca di una mediazione con l’Ncd gli impegni su immigrazione e diritti civili, e peccato che quando Alfano governava con Letta l’abrogazione della Bossi Fini, lo jus soli e le unioni civili erano punti imprescindibili del patto per il programma mentre ora «si fa lo sforzo di ascoltarsi, di trovare un compromesso anche quando non soddisfa del tutto».

Anche l’iter delle riforme potrebbe non soddisfare l’alleato di destra. Al quale Renzi assicura che la nuova legge elettorale sarà approvata in fretta perché non si può perdere la faccia e «l’occasione del contingentamento dei tempi», ma l’impegno politico è che sarà un tutt’uno con la riforma del senato e del titolo V. Ma c’è «un accordo che va oltre la maggioranza di governo», cioè con Berlusconi. La scommessa è su quale accordo reggerà. Ma ovviamente non solo questa. Perché persino la faccia seria di Alfano nel corso dell’intervento sembra chiedersi se il giovane premier sappia davvero quello che sta facendo.