Ci libereremo mai delle monarchie del Golfo? Non nei prossimi decenni. La questione è che la dipendenza dal petrolio delle monarchie è strettamente legata alla vendita di armi occidentali: a questo serve la repubblica islamica iraniana, un bersaglio per alimentare le tensioni nel Golfo e svuotare i nostri arsenali in direzione delle monarchie. Questo è il significato del mancato veto del Senato americano alla vendita di armi all’Arabia saudita: 8 miliardi di dollari, parte di una fornitura firmata da Trump da 110 miliardi.

Insieme al riconoscimento di Gerusalemme capitale e dell’annessione israeliana del Golan, questa è stata la sua mossa strategica più importante. Fare dell’Arabia saudita del principe assassino Mohammed bin Salman, mandante dell’omicidio Khashoggi, l’altro perno con lo stato ebraico del nuovo sistema di sicurezza regionale che sta per estendersi al Mediterraneo.

Non ci si ferma davanti al cadavere di un giornalista e forse neppure alla possibile testimonianza contro i sauditi della presunta mente dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, il pakistano Khalid Sheikh Mohammed, a Guantanamo dal 2006, che sarebbe pronto ad aiutare le vittime degli attentati in cambio di non essere giustiziato.

Il secondo passo è stato quello di strangolare economicamente l’Iran con le sanzioni e poi portare dalla sua parte il dittatore nord coreano Kim Jong-un, che un ha un rispettabile arsenale nucleare (al contrario degli iraniani) e missili potenti che un giorno potrebbe puntare non sulla Corea del Sud o il Giappone ma verso la Cina. La camminata di Trump oltre il 38° parallelo ha questo significato: legittimare, passo dopo passo, un regime e un arsenale per tenere a bada la Cina, sempre più nervosa per quanto accade a Hong Kong, forse non del tutto una coincidenza.

Interessante il ruolo dell’Europa e dell’Italia, che con il premier Conte nell’ultimo discorso alla conferenza degli ambasciatori alla Farnesina ha fatto un discorso così filo-americano che neppure Andreotti o Cossiga avrebbero osato pronunciarlo in termini così umilianti per la storia e la cultura nazionali. Da una parte abbiamo Francia e Gran Bretagna che sono con gli Usa tra i maggiori fornitori di armi dei sauditi e hanno alimentato la guerra in Yemen, nonostante le bugie persistenti di Macron. Naturalmente esistono regole nazionali, europee e internazionali per il commercio di armi ma in questo campo l’ambiguità è molto diffusa. Noi europei e anche l’Italia con le bombe prodotte dai tedeschi in Sardegna e destinate a Riad inviamo armi a questi guerrafondai anti-democratici con la scusa che servono a scopi «difensivi». I livelli di ipocrisia sono assai elevati ma da noi nessuno risponde al riguardo, né il ministro della Difesa né quello degli Esteri, ridotti a degli ectoplasmi che non hanno neppure una reazione su quello che accade nel cortile di casa, cioè in Libia dove pure teniamo un ospedale e 300 militari a Misurata.

Tutto quello che sanno dire è che non siamo in pericolo: l’ipocrisia è massima perché quelli cui vendiamo armi, cioè sauditi ed Emirati, sono schierati con Haftar nemico del governo di Tripoli da noi teoricamente sostenuto.

Al livello strategico e militare se ne accompagna un altro, economico, che ci legherà ancora di più alla dittature del Golfo. L’Egitto del generale al Sisi è nelle mani di Riad e Abu Dhabi che lo tengono in piedi finanziariamente: con il Corridoio di Suez, i tunnel sotto il canale faranno passare merci e persone sotto il Mar Rosso. Il Cairo diventerà una proiezione dei sauditi. Nonostante l’Egitto si sia ritirato dall’Alleanza per il Medio Oriente, una sorta di Nato araba, il generale al Sisi sopravvive di fatto con gli aiuti del Golfo e degli americani, oltre che per il trattato con Israele che lo aiuta in Sinai contro i jihadisti: di fatto è diventato un sorta di protettorato condominiale.

L’Egitto, con i soldi delle monarchie del Golfo, è anche il perno di una nuova strategia energetica, locale con la scoperta dei giacimenti di gas offshore di Zhor e Nur, ma anche internazionale con quelli di Aphrodite a Cipro e di Leviathan in Israele. Il progetto è quello delle East-Med Pipe, un gasdotto per connettere i giacimenti israeliani con l’Italia attraversando le acque cipriote e greche. Anche questo spiega perché La Turchia, sfidando possibili sanzioni europee, sta infiammando il Mediterraneo orientale con le sue navi minerarie fino ad arrivare alle spiagge di Castellorizo. E così che la Grecia, un tempo filo-araba, ha deciso di stingere patti con Israele, un nuovo protettore ben più agguerrito dell’Unione europea.

Ecco perché ci sono tensioni a non finire nel Golfo e nel Mediterraneo. Ecco perché non ci libereremo mai delle monarchie assolute del Golfo, di Israele e degli Stati uniti: appartengono ormai al nostro business della sopravvivenza che fa pagare il suo sviluppo ad altri con guerre e costi umani altissimi.