Ma quant’è bella la Secca di Amendolara, ti vien da dire sporgendoti dalla barca che dal porto di Schiavonea ci porta fin qui ad ammirare una delle perle del golfo di Taranto. «In realtà nelle cartografie è conosciuto come banco di Amendolara», precisano gli abitanti che di questi fondali menano vanto. Se uno poi va a ritroso nel tempo scopre che sin dal 1600 le carte nautiche riportano in questo lembo di mar Jonio una vera e propria isola denominata Insule Febrae. Alcuni storici attribuiscono alla secca l’identità dell’isola di Ogigia, dimora della ninfa Calipso, dove Ulisse in viaggio verso Itaca approdò dopo un naufragio, altri narrano che nel 377 a.c. la flotta di Dionisio il Vecchio qui affondò.

Ma questo patrimonio di mitologica biodiversità marina, individuato anche come Sito di importanza comunitaria, ha un alto grado di vulnerabilità a causa della pesca a strascico, per l’inquinamento da scarichi fognari, per l’ancoraggio non su boe fisse. Basta allontanarsi di qualche chilometro, sporgersi nell’entroterra, per imbattersi nelle ferite chimiche inferte al territorio dalla presenza di centrali Enel e dalle scorie provenienti dai siti industriali crotonesi. E oggi un altro spettro, ben più pericoloso, aleggia sulle acque di Calabria: le trivelle delle multinazionali del petrolio.

Il governo Renzi con lo «Sblocca Italia-Italia Fossile» ha di fatto sancito la liberalizzazione delle estrazioni petrolifere e la privatizzazione di mari e fondali. Ogni infrastruttura legata agli idrocarburi (gassificatori, stoccaggi di gas nel sottosuolo, sfruttamento di giacimenti) è considerata strategica. Le norme di tutela paesaggistica potranno essere bypassate in nome del superiore interesse delle corporation del petrolio. Il titolo concessorio sarà unico, e non duplice come era stato sinora (permesso di ricerca e concessione di coltivazione). Le multinazionali si fregano le mani: individuato un giacimento, potranno reclamare un diritto acquisito. D’altronde, tutta la procedura di Valutazione impatto ambientale (Via) è stata accentrata nelle mani del governo. Le acque del golfo di Taranto sono quelle nel mirino delle compagnie petrolifere. Ad oggi le istanze di permesso di ricerca estrattiva sono ben 16 insieme a una richiesta di prospezione e a un’istanza di concessione. E coprono un immenso specchio di mare, dal Salento alle acque di Crotone. Il ministero dell’Ambiente ha respinto solo un paio di istanze. Per il resto si tratta di procedimenti in attesa di Via o in fase di approvazione. Le multinazionali si chiamano: Eni, Northern Petroleum, Shell, Enel Longanesi, Appenine Energy, Global Med Llc, Schlumberger Italiana, Ionica gas.

Global Med Llc è il colosso petrolifero che ha ottenuto (con decreto di conferimento ministeriale del 9 giugno 2014) un permesso di ricerca nelle acque antistanti Amendolara. Entro tre anni partirà la perforazione per il pozzo esplorativo. La popolazione è in allarme, «le trivelle agiranno sulla secca e andrebbero a sollecitare un’area costiera soggetta a liquefazione e ad erosione come evidenziato dalla relazione geologica del Piano strutturale associato della Sibaritide dalle cui carte risulta molto elevato il rischio inondazione». La secca è a forte rischio e chi se ne importa se sia tra le aree più apprezzate dai subacquei di mezza Europa, una prateria di posidonia oceanica ricca di biodiversità, una grossa fonte di cibo per i pesci. «Qui si rischia una tragedia come quella del golfo del Messico», si infervora Felice Santarcangelo animatore dei comitati NoTriv. Il rischio è lo sversamento in mare di petrolio capace di causare un disastro ecologico. Ma i primi gravi danni all’ecosistema derivano dalle indagini preliminari del sottosuolo e dalla air-gun, micidiale tecnica ispettiva basata sul bombardamento del fondale marino con potenti spari di aria compressa che producono onde riflesse le quali, impattando con i rifiuti depositati sul fondale, ne determinano lo spargimento per chilometri.

«Se perforeranno i fondali listerò a lutto la bandiera blu che ogni anno Goletta verde di Legambiente ci consegna», sbotta Antonio Ciminelli, sindaco di Amendolara, e pronipote della brigantessa Serafina Ciminelli che lungo le vallate del Lao e del Mercure spadroneggiava con la Banda Franco a metà del 1800. Il governo sostiene che perforando i fondali, e attingendo dai giacimenti, si risparmierebbero 62 miliardi. «Un’inezia rispetto ai danni prodotti all’ecosistema», rispondono ambientalisti e comitati civici. Due partecipati convegni si sono tenuti nell’ultimo mese sul litorale jonico. Nel primo, promosso dalla Rete Associazioni Sibaritide e Pollino in Autotutela, nutrita è stata la delegazione di attivisti lucani NoTriv. Il geologo Vincenzo Laschera ha esposto i risultati delle sue ricerche, denunciando l’impennata nel tasso di tumori registrati in Basilicata, regione sottoposta da anni a trivellazioni. La Rete ha ribadito «la necessità dell’applicazione del principio di precauzione, un’arma ancora non impugnata dai sindaci in quanto tutori della salute pubblica». Il portavoce della Rete, Tullio de Paola, invoca «una difesa del territorio da ogni tentativo di speculazione e stupro rispondenti alla logica del profitto e a discapito delle popolazioni».

All’inizio di marzo, in una conferenza promossa ad Amendolara dal comune, l’Unione Mediterranea e l’associazione Diamoci una Mano, autorevoli esperti hanno sottolineato «la scelta neocolonialista del governo e delle multinazionali». I sindaci presenti hanno ribadito che la ferma opposizione al progetto deve essere convogliata in una mobilitazione di tutte le popolazioni calabresi, lucane e pugliesi. Il 28 marzo a Corigliano Calabro associazioni, comitati e sindaci daranno vita a un corteo che si preannuncia massiccio. La parola passa al presidente calabrese Oliverio. Entro marzo dovrà dire da che parte sta: con le popolazioni o con il governo Renzi. Ovvero il segretario del suo partito.