La Rainbow Nation ha festeggiato ieri il suo Tata Madiba. Studenti di tutte le scuole riuniti in assemblea, lavoratori, gente comune, immigrati hanno cantato e onorato Nelson Mandela. Le scolaresche cantando Happy Birtday Tata e i volontari distribuendo cibo agli emarginati.
Desmond Tutu – «la coscienza morale del Sud Africa» come è affettuosamente considerato l’ex arcivescovo di Cape Town in prima persona impegnato nella lotta all’apartheid – ha personalmente dato una mano a dipingere i muri della Marconi Beam Public Primary School nell’insediamento informale Joe Slovo di Milnerton, nelle vicinanze di Cape Town. Mentre una catena umana di almeno 9 chilometri è partita dalle baraccopoli di Guguleto per fare il giro dei sobborghi.

Al Sos Children village di Mamelodi, a est di Pretoria – che ospita bambini abbandonati e vittime di abusi – è stata invece la volta di alcuni nipoti di Mandela – Ndileka, Tukwini e Ndaba – i quali hanno distribuito pacchi di cibo e piantato alberi in onore del vecchio leader e della giornata a lui dedicata dentro e oltre i confini della sua terra. Mentre a Drakenstein Municipality di Paarl, c’è stato chi a 80 e a 103 anni, dopo dieci anni in lista d’attesa, ha ricevuto dal Department of Human Settlement un alloggio. A Johannesburg, richiedenti asilo dall’Etiopia e dalla Nigeria hanno pulito le strade di molti quartieri, un altro modo per mettersi al servizio della comunità nel nome di Madiba, in nome «dell’unica ragione per noi tutti, neri, per cui siamo liberi».
Due decenni dopo la fine di un periodo di politiche contro l’uomo – economicamente, culturalmente e socialmente strutturate – e poco più di un decennio dopo la fine della Presidenza di Mandela, è ancora quest’ultimo che oltre ogni dissenso e divisione riesce a muovere un Paese intero. Nel suo nome e in suo onore, in migliaia, non solo in Sud Africa, hanno trovato ieri, giorno del suo novantacinquesimo compleanno, almeno un minuto o poco più per fare, per agire non per sé ma per gli altri.

Nel 2009 le Nazioni Unite hanno dichiarato il 18 luglio International Mandela Day, un giorno dedicato a opere di beneficenza per onorare un esempio di resistenza morale e fisica e di magnanimità così elevata e determinata come solo chi mette in gioco la vita può offrire. Nelson Mandela non è solo il combattente e il partigiano, è molto di più. Nel suo nome una nazione ha accettato di diventare tale, riuscendo a riconoscersi unita al di là di ogni divisione tribale e accettando di includere in quelle diversità «l’altro» per eccellenza, il dominatore bianco che dopo secoli di soprusi – terminati nella deriva incancrenita del regime dell’apartheid – è diventato parte di una nazione, arricchendo diversità culturali ed etniche sino ad allora da esso stesso messe alla gogna

Se i boia dell’apartheid non hanno incontrato i boia del nuovo Sud Africa è stato solo grazie a Mandela. E l’ex presidente, se nella lotta è stato compagno ad altri che pure si sono spesi totalmente per cambiare una realtà terrificante, a quel bivio epocale è rimasto solo. Sin dal suo primo discorso dopo la liberazione da Robben Island nel 1990 e dall’insediamento come primo Presidente nero democraticamente eletto della Repubblica Sudafricana, quando si trovò costretto a decidere per la sua gente se scegliere di risalire la china con dignità, insegnandola a chi – il regime dei dominatori – l’aveva persa o sacrificare anni di lotta per la libertà e la giustizia sociale all’altare della guerra civile.
Scelse la via democratica della riconciliazione invece di quella più facile della vendetta. E il Paese arcobaleno ha così potuto compiere i primi passi di un ancora lungo cammino. «Gigante dei nostri tempi» lo ha definito ieri il segretario dell’Onu Ban Ki Moon, ma tanti sono stati i messaggi di auguri giunti da leader come Obama, Clinton e il Dalai Lama, per citarne solo alcuni.

E Mandiba ha dimostrato segni di ripresa: al presidente Zuma che in mattinata è andato a trovarlo al Mediclinic Heart Hospital di Pretoria dove si trova ormai da più di 40 giorni, ha sorriso quando questi gli ha fatto gli auguri. Circostanza confermatate dalle parole della figlia Zindzi, aggiungendo che addirittura Mandela potrebbe essere presto dimesso per tornare a casa. Apre gli occhi di tanto in tanto e li muove per annuire, sollevando le mani come se volesse stringere quelle di chi gli sta attorno. Un Sud Africa in festa per le vie delle principali città e dei molti paesini dai variegati colori, come natura vuole in un Paese così esteso e diverso nei suoi confini e in cui le distanze fanno la differenza. Un Paese unito il giorno del compleanno di Madiba, che per un giorno ha dimenticato le diseguaglianze in cui è invece attanagliato quotidianamente. Dall’accesso all’istruzione, a quello nel mondo del lavoro – di quello delle posizioni che contano – le differenze nella società multirazziale del Sudafrica si misurano ancora in termini di appartenenza razziale.

Tra le famiglie bianche che secondo i dati 2012 guadagnano in media sei volte più di quelle nere e le masse di lavoratori non qualificati che pagano ancora il prezzo delle politiche dell’istruzione – a cui il regime dell’apartheid affidò l’eredità di una diseguaglianza strutturata – e che ad altro non possono ambire se non a lavorare nelle miniere e nelle aziende agricole a salari bassissimi.