Una rarità, un film italiano che parla di verginità, oltre al fatto che sembra essere disinteressato ad argomenti sessuali: dai primi trailer passati in tv in questi giorni prima della proiezione alla Quinzaines di Cannes e della sua uscita in sala il 24 maggio, Cuori puri di Roberto De Paolis attira l’attenzione anche per la scelta dei giovani protagonisti Selene Caramazza e Simone Liberati
Nel nostro cinema sembra che ci siano sempre gli stessi interpreti, come li hai scelti?
In Italia o c’è il solito parco attori oppure registi che lavorano con non professionisti che interpretano se stessi, una scelta quasi documentaristica. Noi abbiamo preferito scegliere giovani attori anche al primo film, simili ai personaggi che avevamo scritto e far incontrare attori e personaggi a metà strada, un po’ come se fossero non professionisti. Una scelta che se va a buon fine è un buon mix di potenzialità, perché hai la freschezza del fatto che portano la loro vita, e dall’altra si affidano a una tecnica in mancanza del quale l’attore non professionista si perde. Abbiamo tentato questo metodo che sembra aver funzionato bene, poi sta alla generosità degli attori, puoi solo sperare che all’occorrenza tirino fuori tutto. Abbiamo lavorato sull’improvvisazione che non è soemplicemente non rispettare le battute, ma con l’identificazione con il personaggio, facendoli vivere nel contesto del racconto. Il ragazzo è andato a Tor Sapienza a incontrare quei ragazzi, è stato con loro, la sera andava al muretto a parlare con loro.
E la ragazza l’hai mandata in chiesa
La ragazza è di origine siciliana, ha un’educazione cattolica di base, con noi qualche mese prima di girare è entrata in comunità e avendo inserito la comunità nel film lei poi ha ritrovato nel film le stesse persone con cui aveva svolto un’esperienza comune a sentire le catechesi, a pregare, a cantare. Questo ha facilitato le riprese.
Qual è il tuo rapporto con il cattolicesimo?
Io non è che avessi un gran rapporto, sono ateo non sono neanche battezzato, era un mondo dal quale ero stato tenuto anche lontano. Poi quando abbiamo cominciato a lavorare sul film ho cercato di entrare nel contesto cercando di non giudicarla. Avevo visto tanti film italiani che mantenevano sempre un punto di vista intellettuale come da un piedistallo. Non è che voglio parlare male di quei film, ma quello che ho cercato di fare è cercare di identificarmi, come se una parte di me fosse aperta all’irrazionale, mi sono anche un po’ avvicinato, parlando con i preti, con persone che coltivano la fede giorno dopo giorno. Poi c’è una parte che si lascia andare e comincia a fare le cose che farebbe il personaggio. Quindi la scrittura è diventata più facile.
Quindi prima hai fatto questa esperienza diretta e poi hai scritto il film?
All’inizio abbiamo cominciato con un metodo sbagliato, un po’ superbo, supponente, chiusi in un ufficio pensando di risolvere tutto con l’immaginazione, con la cultura. A un certo punto questa cosa non funzionava perché eravamo tre maschi atei di 35 anni che scrivevano di una ragazzina di sedici anni cattolica. Un giorno mi sono alzato e ho detto: ragazzi qui dobbiamo cominciare a andare nelle comunità, andare a messa, fare i pellegrinaggi.
Come l’hanno presa gli altri?
All’inizio non bene, poi li ho convinti. Come dicono gli attori, devi calarti nei personaggi senza giudicarli. Penso che un regista un po’ debba vivere la vita dei suoi personaggi, altrimenti è difficile scriverne, ti deve accadere qualcosa che potrebbe accadere nel film, non può rimanere un tentativo intellettuale, a meno che uno non sia un genio e allora ribalta completamente la realtà. È anche una questione di umiltà, rendersi conto che la vita è più importante delle proprie idee.
Il film si intitola come il movimento che nasce a Medjugorie. Le comunità, la promessa con l’anello lo avevo visto in «Foreign Body» di Zanussi…
In una delle comunità che frequentavamo in una catechesi un prete ha chiesto ai ragazzi se volessero fare la promessa della castità. Non pensavo che il tema della verginità fosse così in voga. Facendo una promessa di fronte a tutta la comunità si rafforza il concetto
Come gli alcolisti anonimi...
È un po’ come la fede, l’anello che rappresenta l’unione con un’altra persona e che tu tieni sempre al dito, in quel caso l’anello rappresenta la verginità, è un modo per concretizzare il percorso della castità che di per sé è molto astratto e molto difficile perché da una parte c’è l’istinto, gli ormoni, la natura umana, dall’altra un disegno ideale. Certo poi si può trasformare in un vero blocco invalicabile.
Da un punto di vista cinematografico mi sembra interessante il tema della verginità contrapposto al territorio da salvaguardare.
C’è un personaggio femminile che conserva la verginità del corpo e un personaggio maschile che conserva l’inviolabilità del territorio, è addetto al controllo di un parcheggio che idealmente potrebbe essere più grande, l’Italia, l’Europa…protegge questo spazio dal diverso, dai rom, dagli emigranti. Sono due luoghi puri che non devono contaminarsi con il diverso. Naturalmente questo è un tentativo sul piano simbolico. Il titolo «Cuori puri»: uno pensa alla purezza come cosa positiva, ma può avere anche un’accezione fortemente negativa, la purezza come incapacità di confondersi, di mischiarsi…
La razza pura…Ma il titolo è lo stesso titolo del movimento
Per motivi di diritti abbiamo cambiato il nome del movimento, nel film si chiama «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio»
E quel simpatico prete interpretato da Fresi?
A un certo punto mi sono imbattuto in un prete molto simile a quello interpretato da Fresi, molto colto, molto legato alla filosofia del vangelo, alla figura di Gesù e capace di arrivare ai ragazzi con una forte dose di ironia. Il rischio di questi preti è di diventare pesanti, invece ci siamo ispirati a lui che tiene catechesi davanti a duemila, tremila ragazzi, molte delle battute del film sono sue. Spiega le scritture e poi le traduce per i ragazzi con un aneddoto, una battuta. Fresi è molto colto, serio e allo stesso tempo molto ironico, gli stava a pennello il personaggio. In tutte le scene abbiamo messo qualcosa della vita degli attori, nel modo di parlare, di scherzare, per non sradicarli troppo.
Che tipo di corti hai girato prima del tuo esordio?
Io venivo dalla fotografiam, facevo foto piuttosto impostate poi man mano con i corti mi sono avvicinato a quello che mi interessava di più, un approccio quasi documentaristico che poi ha portato a questo film.