Per i 3.200 passeggeri rimasti sulla nave Diamond Princess, fra cui 35 italiani, inizia da oggi la libertà. Il Ministero della Salute ha fatto sapere di aver concluso i test su tutti i passeggeri e che quelli non infetti potranno cominciare lo sbarco.

Il Giappone – inclusi quelli sulla nave – in questa ondata di epidemia registra 615 casi di contagio, nonché il decesso di una ottuagenaria. Il ministro della Salute Katsunobu Kato ha dichiarato sabato che il paese è entrato in una «nuova fase» dell’epidemia: il virus avrebbe cominciato a circolare. Infatti, fino ad allora gli epidemiologi erano riusciti a tracciare tutti i casi di contagio fino a fonti certe di trasmissione. Invece ora emergono casi un po’ in tutto il Giappone, dall’Hokkaido fino alla penisola di Wakayama, per i quali non è stato possibile risalire ad un’origine certa. Il primo ministro, Shinzo Abe, ha detto che la situazione evolve «di minuto in minuto» e si è anche sentito in dovere di sottolineare, a fronte di un forte calo delle presenze nel settore turistico, che i turisti cinesi sono i benvenuti.

Invece a Tokyo le autorità hanno cancellato la partecipazione del pubblico – erano previste 38.000 persone – alla maratona cittadina e annullato i festeggiamenti pubblici per il sessantesimo compleanno del nuovo imperatore, anche qui erano attese decine di migliaia di persone. La stampa locale ha fatto domande insistenti circa la sorte delle Olimpiadi, ma ogni cancellazione o rinvio è stato negato.

L’epidemia arriva in un momento difficile per il governo Abe, circondato da scandali su più fronti, ai quali fatica a dare risposte in parlamento e per i quali è assediato dalla stampa.

Da un lato si tratta di un caso di corruzione per i futuri casinò, che ha portato all’arresto di un parlamentare della fazione di governo e dall’altro di un caso – che tocca più direttamente il premier – circa l’uso disinvolto delle finanze pubbliche per invitare fedelissimi del partito a dei festeggiamenti a Tokyo. L’epidemia ha dato inoltre nuova vita ad un dibattito mai sopito circa l’opportunità di inserire in costituzione una clausola di «emergenza pubblica» con la quale il governo possa avere poteri straordinari in caso di necessità.

All’interno del Partito liberaldemocratico del premier Abe questa è la linea programmatica da almeno un decennio. Critica è stata la risposta dell’opposizione con un editoriale dell’Akahata, l’organo di stampa del Partito Comunista, nettamente contrario alla riforma.

Agli osservatori stranieri il Giappone può sembrare in preda ad una forte ansia collettiva. Per spiegare le radici di questo stato d’animo generale gli studiosi hanno parlato di un Giappone entrato in crisi negli anni ’90 e mai uscitone. Nel maggio 1995 la prestigiosa rivista Sekai pubblica un articolo intitolato «L’era della vaga ansietà». Una cesura profonda c’è tra gli anni del miracolo economico del dopoguerra fino al mito del «Japan number one» e l’attuale incertezza del futuro.

Tre grandi eventi hanno segnato la coscienza collettiva di quel decennio lasciando un’incertezza sociale profonda: lo scoppio della bolla economica, l’attacco al sarin alla metropolitana di Tokyo e il terremoto di Kobe che costò la vita a oltre 6.000 persone e che vide il governo agire in modo tardivo. Il sociologo Eiji Oguma ricorda, però, che tale ansietà è sempre più osservabile anche nella società occidentale e in Giappone emerge per via dello sfaldarsi delle sicurezze offerte della «società dei container» e della conseguente atomizzazione degli individui, che sentono di perdere potere e fiducia nel futuro.