Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione centro di documentazione ebraica contemporanea e storico dell’ebraismo, è l’interlocutore a cui rivolgersi per ragionare di Shoah, uscendo dalla contingenza del 27 gennaio per riflettere su cosa rappresenti oggi la memoria dello sterminio nel nostro paese e le distorsioni a cui – nel corso di tutto l’anno – questa va incontro.
La legge che istituisce il Giorno della memoria è datata 20 luglio 2000 e compie, con tutta evidenza, oltre venti anni. Ci sono quindi intere generazioni di studenti e studentesse che hanno completato il loro percorso di istruzione celebrando il «ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti», come recita la legge.

LA CONVERSAZIONE con Luzzatto Voghera inizia proprio dalla constatazione che oggi i ragazzi sappiano cosa sia stata la Shoah: «Mi sono recato di recente – esordisce – al Memoriale della Shoah a Milano – al Binario 21 della Stazione centrale da cui partì la senatrice Segre insieme a centinaia di altri per i campi di sterminio nazisti: lì traslocherà la Fondazione e vi erano degli operai della ditta. Il caposquadra, un uomo sulla sessantina, colpito dal luogo, ha detto che ci avrebbe portato in visita la famiglia. Il giovane operaio ventenne, originario del Senegal, si è offerto di fare da guida: ’Io ci sono stato cinque anni fa con la scuola’, vieni qua che ti spiego».

«In questi anni – prosegue Luzzatto Voghera – non sono mancate voci critiche sulla ’celebrazione’ del Giorno della memoria: sull’ipertrofia assegnata al concetto di memoria rispetto alla conoscenza della storia e su alcune dinamiche retoriche che rischiano di svuotare di significato l’evento annacquandolo in una generica condanna del ’male’ compiuto dall’uomo sull’uomo. Sono rilievi importanti ma non inficiano l’impatto sostanziale che il Giorno della Memoria ha avuto in questi due decenni».

Di Luzzatto Voghera colpisce il tono limpido e la determinazione del ragionare pacato che non cede alla tentazione della celebrazione e alla condiscendenza verso il mainstream: «Lo sterminio degli ebrei in Europa è stato innanzitutto un evento storico. Non è un’affermazione banale, parrebbe, ma non lo è. Si deve partire da questo per riflettere sulla distorsione della Shoah. Ci sono tre nodi diversi che però vanno affrontati contestualmente: il ruolo, appunto, del Giorno della memoria; l’accentuarsi di un uso e abuso pubblico e politico della storia nel suo complesso; il paradosso dell’impoverimento delle conoscenze a fronte del fiorire della ricerca».

IL GIORNO DELLA MEMORIA ha determinato una svolta nella percezione della Shoah nella cultura italiana, nonostante le ambiguità contenute nel testo della legge, frutto – per raggiungere l’unanimità – di una mediazione politica: «L’applicazione del provvedimento ha inciso in profondità sul piano delle conoscenze. Gli studenti hanno partecipato a migliaia di eventi e ciò ha avuto delle conseguenze importanti: l’acquisizione di una conoscenza storica di base sia sulla fase della persecuzione dei diritti (le leggi fasciste antiebraiche) che delle persecuzioni delle vite (deportazione e sterminio) a cui si aggiunge un impegno di connessione tra la storia generale e le vicende del proprio territorio e la conoscenza dei luoghi dello sterminio grazie ai viaggi della memoria. Tuttavia, ha generato anche altro. Proprio perché parte ineludibile del percorso di istruzione, i simboli della persecuzione sono diventati luoghi dell’immaginario comune ed è stato messo a disposizione della comunicazione un armamentario simbolico facilmente manipolabile».

«SI È TRASMESSO – prosegue Luzzatto Voghera con assoluta fermezza – un modello molto netto vittima/persecutore, ma se nel processo di istruzione non si problematizzano le figure e le situazioni sociopolitiche l’esito è sempre il medesimo: la descrizione di una meta-realtà storica».
Ed è su questo nodo che la riflessione si fa serrata: «In questo contesto le vittime sono tali in quanto membri di gruppi emarginati: ebrei, rom, omosessuali. I persecutori, nella stessa prospettiva, sono espressione maligna di un uso estremo e non morale del potere – i nazisti e i loro collaboratori. Un modello di questo genere descrive la realtà storica senza sfumature e rischia di trasformare la narrazione della Shoah in una realtà meta-storica. Non sempre è così, ma il pericolo esiste. Il modello delle vittime che sono solo vittime contrapposte a persecutori che sono puri persecutori è di grande successo e deriva da canali di informazione privi di controllo e di verifiche scientifiche. Utilizzando il binomio vittima/carnefice, l’uso e l’abuso dei simboli della persecuzione antiebraica diviene ben più che allarmante. I gruppi che oggi si definiscono come ’vittime’, ad esempio i così detti no-vax, si sentono effettivamente perseguitati come gli ebrei e usano i simboli della Shoah per accreditare questa immagine. In questo contesto i rappresentanti del potere, spesso descritti come agenti di un ’complotto globale’, non possono che essere paragonati ai nazisti, i persecutori per eccellenza. Si arriva così alla distorsione della Shoah, un fenomeno che rischia di azzerare le conoscenze storiche sullo sterminio e di aprire la strada a una pericolosa deriva di abuso pubblico della storia».

ED È SULLA QUESTIONE dell’uso pubblico e politico della storia che la questione si fa stringente. La riflessione sull’utilizzo strumentale della narrazione della storia non è nuova in ambito storiografico ma per quanto riguarda la Shoah è un nodo particolarmente dolente. «Mai come in questi ultimi anni si è registrato un aumento dell’utilizzo dei simboli e dei concetti connessi alla Shoah e all’antisemitismo. Non si salva nessuno schieramento: c’è in ambienti secolari e religiosi, nella destra e nei salotti buoni, lo rilevano le ricerche condotte in questi anni. Se da un lato non mancano politici che parlano apertamente di complotto e dei Protocolli dei Savi di Sion, così a sinistra la critica allo stato d’Israele e alle sue politiche discriminatorie troppo spesso degenera in paragoni improponibili con il regime nazista fino a mettere in discussione la legittimità stessa dell’esistenza di quello stato. Il sionismo, invece di essere valutato per quel che è, un’ideologia articolata, con una storia anche molto conflittuale nello stesso mondo ebraico, viene trasformato in uno dei tanti sinonimi del ’complotto globale’, sottraendolo a una concreta analisi storico-politica. Il problema riguarda anche i campi per migranti: vengono paragonati ai lager nazisti senza valutare il danno che si fa da un lato alla conoscenza e alla denuncia delle effettive e reali caratteristiche inaccettabili degli odierni campi profughi e, dall’altra, alla conoscenza storica precisa dei campi nazisti».

L’ULTIMA questione affrontata da Luzzatto Voghera riguarda proprio il rischio del meta-racconto: la Shoah come la immaginiamo, come parla ai sentimenti e alla coscienza piuttosto che alla conoscenza. Come se studiare la Shoah possa farle perdere il suo impatto emotivo. Si assiste infatti «al paradosso della semplificazione e dell’impoverimento delle conoscenze a fronte di una ricerca storica sempre più approfondita». «Hanno contribuito – spiega Luzzatto Voghera – da un lato, l’istituzione di centri di ricerca dei così detti Holocaust Studies, dall’altro, la fine della guerra fredda e le possibilità di accesso agli archivi dell’ex Unione Sovietica. Le nuove tecnologie hanno ulteriormente contribuito alla diffusione di dati storici sempre più precisi producendo tra gli altri progetti di grande respiro come la European Holocaust Research Infrastructure, che connette tra loro decine di archivi e istituti di ricerca sulla Shoah. Per l’Italia c’è la Fondazione Cdec».

Ad essi si aggiunge anche la valorizzazione dell’archivio della Croce Rossa di Bad Arolsen che, proprio nel corso della pandemia, ha chiesto l’aiuto di volontari costretti a casa dal lockdown per digitalizzare milioni di schede personali di deportati. «Eppure non è bastato. A fronte di questi nuovi studi si assiste al paradosso della volgarizzazione di quelle stesse conoscenze. Così, pur vedendo il ritrarsi del negazionismo – il movimento pseudo-storico che mette in discussione l’esistenza stessa della Shoah – esiste un’ondata montante di distorsione che minaccia comunque la storia».