Le elezioni di domenica hanno sancito la vittoria della destra guidata dal partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, e della sua visione di società: reazionaria rispetto alla modernità e strutturalmente legata alla negazione di politiche di emancipazione sessuale e riproduttiva. Una destra che sceglie di definirsi “conservatrice” perché risponde alla domanda di sicurezza sociale e di sovranità dei cittadini con la necessità di difendere l’identità tradizionale.

Per questo il diritto all’aborto è divenuto tema centrale anche nella campagna elettorale italiana, grazie all’attenzione riservata dai media, ma anche perché cardine, insieme a temi come la natalità, la sostituzione etnica e l’identità di genere, di una visione così definita.

La destra italiana sostiene di “non voler toccare la 194” ma proprio oggi, in occasione della giornata internazionale dell’aborto sicuro, diventa urgente provare a spiegare il perché di questo sostegno ad un testo che solo molto parzialmente garantisce il pieno diritto all’aborto. E come tale sostegno sia conciliabile alla sottoscrizione del programma di “ProVita”.

La legge 194/1978 è un importante esempio di tutela della maternità, che ha avuto il merito di salvare la vita di centinaia di migliaia di donne, ma che non ha parallelamente creato e garantito l’autonomo diritto di scelta. Le cause sono molteplici: dalla mancata previsione di un meccanismo di equilibrio tra personale medico obiettore e non obiettore di coscienza, all’obbligo di “riflessione” di sette giorni per poter procedere ad una interruzione di gravidanza; dall’assenza di impegni in materia di informazioni chiare e scientificamente corrette da parte delle istituzioni, fino all’impunità sulle scelte delle amministrazioni anti-abortiste guidate in questi anni dalla destra.

Alcune giunte regionali, come quelle di Marche e Abruzzo, hanno sfruttato le zone grigie della 194 per favorire le associazioni ultracattoliche all’interno dei consultori o si rifiutano di seguire le nuove linee di indirizzo ministeriali sull’aborto farmacologico. Con un effetto concreto sull’esperienza di migliaia di donne in questi anni. E la campagna “Libera di Abortire” è nata spinta da queste realtà che anche molti progressisti negavano fino a poco tempo fa.

Le politiche riproduttive non sono al sicuro in tutto il mondo. L’ultima stretta introdotta dal governo ungherese il 15 settembre prevede l’obbligo per il personale medico di fornire alle donne la prova “chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto”, attraverso la rilevazione del battito cardiaco. Una forma di violenza estrema che ha spinto le donne ungheresi a organizzarsi, proprio in occasione del 28 settembre, contro la nuova misura voluta da Viktor Orban.

E dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, la situazione non migliora. Le elezioni di medio termine dell’8 novembre vedranno al centro il tema dei diritti riproduttivi, dopo la sentenza della Corte Suprema che ha cancellato ogni tutela costituzionale al diritto all’aborto, restituendo ampia discrezionalità in materia ai singoli Stati. Da quel momento, gli abortion bans non hanno fatto che aumentare arrivando a 43 Stati su 50 che vietano l’aborto dopo un determinato periodo della gravidanza, con alcune eccezioni.

Eppure, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno nel mondo si registrano 25 milioni di interruzioni di gravidanza senza tutele e sicurezze per la salute delle donne. Oltre a raccomandazioni cliniche, l’Oms chiede ai paesi di “rimuovere tutti gli ostacoli politici non necessari dal punto di vista medico all’aborto sicuro”, come la criminalizzazione, i tempi di attesa obbligatori, il requisito che l’approvazione debba essere data da altre persone o limiti su quando può aver luogo un aborto. Tali barriere mettono le donne a maggior rischio di aborti non sicuri, stigmatizzazione e complicazioni per la salute.
Nel mondo dunque è in atto una guerra sulle politiche riproduttive: in ballo c’è la concezione stessa di libertà, il rapporto con lo Stato e la cittadinanza delle donne. Comprenderlo significa attivarsi affrontando questo tema non come isolato, o di “sola” politica sanitaria, ma centrale per definire la società che vogliamo costruire.

*Avvocata, Tesoriera di Radicali Italiani
**Coordinatrice della campagna Libera di Abortire