Non era mai successo che il leader di uno dei principali partiti non dicesse una parola sull’elezione del nuovo capo dello Stato. Il silenzio di Berlusconi è quanto di più eloquente si possa immaginare. Lo sconfitto di Arcore ha spedito un telegramma di auguri e congratulazioni all’eletto, questione di cortesia e di diplomazia, ma quanto a valutazioni politiche è rimasto muto come un pesce. Difficile negargli umana comprensione: in tre giorni ha preso due mazzate da stroncare un toro. Si è reso conto che il patto del Nazareno era in realtà un accordo a senso unico: il socio ha preso tutto, lui niente di niente. Una fregatura da americano allocco che si compra il Colosseo.

Come se non bastasse, il partito gli si è polverizzato sotto gli occhi. Una cinquantina almeno dei suoi grandi elettori non hanno obbedito agli ordini, e tra questi i fedeli di Verdini, l’uomo che fino a tre giorni fa aveva dettato sin nelle virgole la linea. Fitto giura che i suoi ribelli hanno invece votato come partito comandava: «Non abbiamo bisogno di operazioni sottobanco». In realtà una parte di loro, in nome della sicilianità o della democristianità, ha votato per Mattarella. Ma anche quelli che hanno lasciato la scheda immacolata, certo non lo hanno fatto per obbedienza. La situazione nel partito che fu Forza Italia si può paragonare solo alla ex Jugoslavia un attimo prima della guerra civile. Tutti contro tutti, e animati da un rancore che va molto oltre la competizione politica. Berlusconi non lo mette in discussione nessuno: non è un uomo, è un’icona. Su tutto il resto è guerra di tutti contro tutti. Raffaele Fitto e Augusto Minzolini chiedono l’azzeramento dei gruppi dirigenti. La tesoriera Mariarosaria Rossi, cerchio magico doc, sibila in Transatlantico contro «chi ci ha portato a questo disastro: il duo tragico», alias Letta Gianni e Verdini Denis. Il quale ha capito l’antifona e proprio per questo ha ordinato ai suoi di sfoderare le spade votando per Mattarella e accusa il cerchio di aver spinto il capo a fidarsi di Alfano. La stessa Rossi e Laura Ravetto si sono quasi prese per i capelli accusandosi vicendevolmente di essere rimaste troppo a lungo nella cabina per aver davvero lasciato la scheda bianca. Con un partito del genere, Berlusconi potrà anche provare a confermare l’accordo con Renzi, ma non lo prenderà sul serio nessuno. E’ un generale senza più controllo sulle truppe.

Ciliegina sulla torta al cianuro, si è sfasciato sul nascere il rinato asse con Alfano e i suoi centristi riuniti in Area popolare. Né fa da consolazione il fatto che il medesimo Angelino sia forse l’unico leader che stia oggi messo anche peggio di Silvio. Le spiegazioni con cui l’ex delfino giustifica la genuflessione sono di quelle che ad ascoltarle ti senti imbarazzato per lui: «Abbiamo capito che si stava formando una maggioranza di sinistra. Poi c’è stato il messaggio chiarificatore di Renzi», in concreto un paio di frasi insignificanti per concedere le quali il Magnifico si è pure fatto pregare.

Anche nell’Ncd i voti in dissenso sono stati parecchi: una quindicina. Sacconi si è dimesso da capogruppo al Senato. La portavoce Saltamartini si è rifiutata di votare per Mattarella e si è a sua volta dimessa. La ministra Di Girolamo medita analogo passo. Un congruo gruppetto di reduci della prima repubblica, capitanato da Roberto Formigoni, chiede quanto di più minaccioso ci fosse in quella repubblica: una verifica.

Il quadro politico che ne emerge farebbe la felicità di un enigmista. Renzi dispone di tre maggioranze, nessuna delle quali gli garantisce stabilità. La maggioranza formale vacilla per l’ira di un Ncd umiliato e apertamente preso a schiaffoni. Quella «materiale» del Nazareno, con Fi dilaniata e Berlusconi che si sente giustamente tradito, non è in grado di garantire nulla a nessuno. La maggioranza fondata sull’accordo con la sinistra Pd e Sel, quella che ha permesso il blitz su Mattarella, si scioglierà di fronte alle prime scelte del governo.

Renzi esce dalla battaglia meno stabile ma più forte. Tagliando il proverbiale nodo di Gordio ha risolto in tempi record una situazione difficile. Soprattutto ha dimostrato di essere davvero disposto ad arrivare alle estreme conseguenze. Quando userà, come ha già fatto in questi giorni, la minaccia di andare alle elezioni anticipate con un surreale doppio sistema, Italicum alla Camera, Consultellum al Senato, nessuno avrà il coraggio di andare a vedere se bluffa o no. D’ora in poi adopererà quel randello per tenere a bada le diverse componenti delle sue tante maggioranze. Sempre che il nuovo presidente gli consenta di minacciare il voto con sistemi diversi: si vedrà in quell’occasione che presidente è Sergio Mattarella.