Il centrodestra, al prossimo giro di consultazioni, si presenterà unito al Quirinale. Salvini propone, Berlusconi ci riflette su, poi accetta. Giorgia Meloni quasi non ci sarebbe nemmeno bisogno di consultarla. Era stata la prima a lanciare la proposta, ancora prima delle precedenti consultazioni, e ci tiene a sottolineare la primogenitura: «Ringrazio Salvini per aver accolto la mia idea». È una risposta precisa e inequivocabile a Luigi Di Maio e al suo tentativo di dividere la destra. Infatti i 5S lasciano filtrare pura irritazione: «Salvini e gli altri si sono messi nell’angolo da soli. Salvini deve scegliere tra il cambiamento e il riportare indietro l’Italia con Berlusconi».

È una mossa forte, non imprevedibile. La differenza di posizioni tra gli azzurri e il Carroccio, all’uscita dalle consultazioni, era vistosa ma in buona parte dovuta all’esplosiva irritazione del Berlusconi offeso. L’uomo, si sa, non ha mai fatto grandi distinzioni tra il personale e il politico, e l’umiliazione nel vedersi oggetto di veto non poteva che tradursi in un contrattacco di quel tipo. Ma Salvini, pur avendo preso male l’intemerata del Cavaliere, non ha mai preso in considerazione il divorzio imposto da Di Maio. I due leader della destra si sono sentiti nella stessa serata. Si sono scambiati reciproci chiarimenti, Salvini non si sarebbe risparmiato uno sbotto nei confronti del pentastellato: «Quando ci si parla Di Maio sembra ragionevole. Poi, appena vede una telecamera, cambia tutto». L’idea di dimostrare nei fatti, recandosi insieme al Quirinale, che il centrodestra non intende dividersi è nata nel corso di quel colloquio, salvo poi concretizzarsi il giorno dopo.
Ma già ieri mattina, su entrambi i fronti, fioccavano i segnali di riconciliazione.

Toti, il forzista più vicino alla Lega, aveva aperto le danze sostenendo che «un programma minimo di governo con i 5S si può trovare» e torcendo le parole di Berlusconi fino a farle diventare una opportuna chiarificazione sui programmi. Non significavano affatto «non voler collaborare dal punto di vista numerico o programmatico». Giorgetti, dal fronte opposto, aveva duettato criticando «lo sbaglio di Berlusconi» ma escludendo rotture. Poi Salvini aveva chiuso la partita: «L’unico governo possibile è quello del centrodestra unito con M5S».

La scelta della Lega e del centrodestra pone un’ipoteca pesantissima sulle chances di successo dell’opzione che verrà esperita nei prossimi giorni. La «pausa di riflessione» invocata dal capo dello Stato è in effetti una copertura. La proposta di Di Maio ha accelerato i tempi. Prima dei prossimi appuntamenti sul Colle, alla fine della settimana, si dovrà capire se esiste o meno la possibilità di un governo M5S -Lega o M5S-centrodestra. Al momento quella eventualità, data per probabile subito dopo le consultazione, appare remota. Di Maio si è esposto troppo per rimangiarsi il diktat. Salvini, lanciando proprio lui la proposta di delegazione unica al Quirinale, ha detto chiaro e tondo che la condizione posta da di Di Maio, sganciarsi cioè dal partito azzurro, non è accettabile e le cose non cambieranno certo di qui al prossimo week-end.

A sbloccare la situazione potrebbe dunque essere solo Berlusconi, accettando di farsi da parte e di limitare la partecipazione forzista al governo alla presenza di «ministri d’area», cioè non politici. Non lo farà. Il solo elemento che potrebbe costringerlo a rimangiarsi l’offesa e la rabbia sarebbe una minaccia fortissima pendente sull’azienda. Ma per mettere in campo quell’arma di ricatto, che per Arcore è sempre potentissima, M5S dovrebbe poter agitare lo spauracchio di un governo con il Pd, ostile tanto a Fi quanto a Mediaset. Quell’arma, però, è spuntata in partenza dalla rigidità assoluta di Renzi, che è fermamente deciso a evitare ogni commistione con Di Maio e ha dimostrato negli ultimi due giorni di mantenere un controllo pressoché assoluto sul grosso del partito e dei suoi gruppi parlamentari.

In politica, e più che mai in quella italiana, può succedere tutto, ma che dal prossimo giro di fronte a Mattarella, di qui a un settimana, esca una maggioranza di governo, come nelle rosee aspettative che si erano diffuse giovedì, è ben poco probabile. Se la carta si rivelerà perdente bisognerà vedere se destra e 5S decideranno di tentarla di nuovo, il che a quel punto comporterebbe però un cedimento clamoroso di Di Maio, o se il centrodestra proverà a imboccare la strada che Salvini insiste nell’escludere ma che i suoi ufficiali stanno invece già perlustrando, quella di un’intesa con tutto il Pd o almeno con l’area renziana. Se non ci sarà niente da fare su nessuno dei due fronti si tratterà solo di decidere quando votare di nuovo, in un lasso di tempo che va da giugno alla prossima primavera.