A Lima, ha vinto il conservatore Luis Castañeda Lossio, del partito Solidaridad Nacional, con oltre il 50,5%. Alle comunali di domenica, gli elettori lo hanno scelto come nuovo sindaco della capitale. Al secondo posto, Enrique Cornejo, del partito Aprista, dato al 6% nei sondaggi e che invece ha totalizzato il 17,8%. Grande sconfitta, l’attuale sindaca Susana Villaran, ex ministra della Donna e ex candidata presidenziale, che ha corso con la coalizione di centrosinistra Dialogo Vecinal e ha totalizzato il 10,8%. Castañeda, già due volte sindaco, torna così a governare la città dopo quattro anni di assenza, e sempre in nome delle “grandi opere”. Secondo l’andamento prevalente della politica peruviana che ha nella capitale la sua principale piazza, i suoi voti saranno determinanti per le prossime presidenziali del 2016.

Gli elettori hanno quindi scelto di non schierarsi contro ruberie e corruzioni, dato evidentissimo di queste regionali e comunali che hanno portato alle urne oltre 21 milioni di votanti. Molti gli inquisiti per corruzione fra i 220 candidati alle 25 regioni e ai municipi di 195 province e 1.647 distretti (13.000 tra sindaci e consiglieri). Secondo un’inchiesta effettuata durante la campagna elettorale, il 46% dei votanti accetta la tesi: «roba pero hace obras» ( ruba, però realizza opere). Una frase diventata d’uso comune durante il governo del generale Manuel Odría (1948-1956), un presidente che costruì scuole e ospedali e molte grandi opere, come lo stadio nazionale, accompagnate però da una corruzione su vasta scala, che non sconvolse più di tanto la sua importante base d’appoggio elettorale. Stessa cosa dicasi per l’ex presidente Alberto Fujimori, il cui partito gode ancora di un notevole appoggio.

All’inchiesta sul gradimento ai corrotti si è riferito anche il presidente Ollanta Humala, chiedendo ai cittadini un voto pulito. Un tema molto sentito nella sinistra e soprattutto fra i giovani, protagonisti di una importante manifestazione – la Marcia del 56% – che in pochi giorni ha riunito circa 12.000 persone. Ma l’eredità di circa trent’anni di neooliberismo selvaggio ha lasciato il segno e le sinistre faticano a invertire il corso della politica. Nei mesi scorsi, i grandi media conservatori hanno scatenato una campagna virulenta contro quella sinistra – come il Frente Amplio de Izquierda – che sostiene il «socialismo del XXI secolo» che governa in Venezuela. E hanno fortemente spinto perché le componenti più moderate dell’arco progressista facessero un passo verso il centro. Una politica che ha adottato anche Villaran – prima donna a governare Lima – che, durante la sua travagliata gestione (un referendum revocatorio e un poderoso attacco della destra) ha finito per rompere con un settore della sinistra, Patria Roja e Tierra y Libertad. Lei, per contro, ha costruito progetti culturali per il riscatto delle culture ancestrali, ha costruito opere pubbliche nei quartieri popolari, ma ha avuto il grande torto di non adottare una strategia comunicativa “urlata”.

Anche nella regione di Cajamarca c’era un candidato agli arresti, Gregorio Santos, dirigente del Movimiento de afirmacion social (Mas). Ma la sua accusa di corruzione – denunciano i movimenti ambientalisti – è stata una ritorsione per essersi schierato a fianco di chi lotta contro il gran progetto minerario nel Conga, che costa circa 4.800 milioni di dollari e che le popolazioni non vogliono. Santos è stato in prima fila anche nelle lotte per la difesa dell’acqua in Cajamarca e le urne lo hanno premiato, confermandolo con il 49,9% dei voti.

In una votazione segnata dagli incidenti stradali (30 morti), migliaia di persone, in maggioranza del sindacato della Costruzione civile, hanno manifestato contro l’elezione del sindaco di Pucusana, Pedro Florian Huari, del partito Solidaridad Nacional. E anche nel Callao, diversi cittadini hanno protestato contro la rielezione del Presidente regionale, Felix Moreno, del partito Chim Pum Callao.