Di certo, il partito di governo (Pt) ha più di una pecca da farsi perdonare, in Brasile. Di certo, le critiche alla gestione di Dilma Rousseff non arrivano solo da destra. Di certo, lo scandalo sulla corruzione della petrolifera Petrobras evidenzia una crisi a tutto campo del sistema politico. Tuttavia, i cartelli innalzati dai manifestanti che domenica hanno sfilato contro la presidente in 147 diverse città del Brasile non lasciano dubbi sulla natura della protesta. Prospettano una minaccia inquietante, tutt’altro che portatrice di maggior democrazia come hanno preteso invece gli organizzatori: «Fuori Dilma, chiediamo l’intervento militare», dicevano cartelli e slogan.

Una manifestazione «contro la corruzione», ma in realtà una prova di forza politica delle destre, incapaci di ingoiare la sconfitta subita con il secondo mandato di Dilma, assunto appena due mesi e mezzo fa. A San Paulo ha sfilato oltre un milione di persone, ma in migliaia hanno marciato anche per le vie della capitale Brasilia, a Rio de Janeiro e a Salvador de Bahia. Il senatore Aecio Neves, sconfitto da Rousseff alle presidenziali di ottobre 2014, in questo caso ha cantato vittoria: «Si è aperta una strada – ha detto – i brasiliani sono scesi in piazza per riunire le loro virtù, i loro valori e anche i loro sogni». Nella città di Jundia (nello stato di San Paolo) sono state lanciate molotov contro la sede del Pt, a Rio de Janeiro un gruppo di manifestanti ha cercato di aggredire un sostenitore di Rousseff e nella città di San Paolo una ventina di persone è stata arrestata. Benché la richiesta non sia stata apertamente avanzata da tutta l’opposizione – i cui dirigenti hanno organizzato le proteste, ma non si sono fatti vedere in piazza – il tema comune alle manifestazioni è stato quello dell’impeachment alla presidente. Le destre hanno animato proteste anche nei pressi di alcuni consolati all’estero, Buenos Aires, Londra e Sidney.

Venerdì scorso, movimenti sociali e sindacati hanno sfilato con la sinistra in 24 capitali regionali, per sostenere il governo. I numeri, però, non sono stati altrettanto evidenti. Oltre 50 milioni di brasiliani, in maggioranza provenienti dai settori popolari, hanno votato per Rousseff, ma le hanno chiesto di assumersi con più decisione i piani sociali promessi. Su questo, però, il secondo governo Rousseff non ha dato prove esaltanti. «Le conquiste che le classi popolari hanno ottenuto finora si stanno erodendo – ha detto senza mezzi termini l’analista politico James Petras – il governo ha dato peso a Joaquim Levy, ministro dell’Economia, un neoliberista fanatico fautore dei tagli alla spesa sociale».

Critici anche i movimenti ambientalisti sui favori nuovamente concessi all’agribusiness, proprio mentre l’allarme ambientale appare più elevato e in molte città manca l’acqua. Da sinistra, però, nessuno vuole alimentare inopinatamente un’onda che potrebbe condurre all’abisso. Gli analisti politici più accorti denunciano un attacco delle forze conservatrici nei punti cardini dell’America latina: dal Brasile all’Argentina al Venezuela. Dilma ha difeso il presidente Nicolas Maduro dalle ingerenze Usa e dagli attacchi delle destre, che si sono manifestate anche in Brasile. Ha denunciato i «tentativi di golpe» mascherati da parte della destra, mentre il suo ministro di Giustizia, Eduardo Cardozo, ha sostenuto che «il Brasile è molto lontato dal golpismo».

Tuttavia, l’aggressività delle destre, già evidente durante la campagna elettorale, è palese, e sostenuta da una martellante campagna mediatica tesa a presentare il governo e il Partito dei lavoratori come la quintessenza dei mali. Priva di proposte e di leader carismatici, l’opposizione soffia sul fuoco delle proteste e al contempo fa pressione sulla parte più moderata dell’alleanza governativa, che sta mollando il Pt sulla questione dello scandalo Petrobras. Dilma non è coinvolta direttamente e ha promesso mano dura contro i corrotti, ma è lei il bersaglio, perché le tangenti sarebbero state usate per la sua campagna elettorale. Ieri ha telefonato al vicepresidente Usa, Joe Biden, confermando la visita prevista negli Stati uniti per settembre e cancellata durante il Datagate. Al vertice delle Americhe, che si svolgerà a Panama in aprile, cercherà di convincere Obama della solidità delle relazioni bilaterali. Bisognerà vedere a che prezzo.