Le agenzie di stampa internazionali hanno diffuso la notizia presentandola come il possibile debutto di una «Guantanamo francese». In seguito alle stragi jihadiste di Parigi, è stato decretato con il consenso del governo come dell’opposizione lo stato d’emergenza; un segnale che in Francia si rischiano di mettere in discussione principi fondamentali a tutela delle libertà individuali.

Si è così appreso che il Consiglio di Stato, parallelamente all’esame cui dovrà sottoporre le modifiche alla Costituzione proposte per rispondere alla minaccia terroristica, dovrà esprimersi anche sull’ipotesi, avanzata dal centro-destra ed in particolare da Laurent Wauquiez, segretario generale del partito dei Républicains, di «internamento preventivo» delle persone che sono oggetto della cosiddette «fiche S», vale a dire chi è stato schedato dall’intelligence o dalle forze dell’ordine perché rappresenterebbe un pericolo per «la sicurezza dello Stato».

Secondo gli ultimi dati, circa 20mila cittadini francesi di cui 10.500 sospettati proprio di essere a vario modo vicini al radicalismo islamico. Dopo che è emerso come più d’uno degli stragisti di Parigi disponesse della sua «fiche S», fosse cioè già apparso nei radar della polizia senza però essere ritenuto davvero pericoloso – il sistema di schedatura coinvolge anche chi ha semplicemente frequentato un luogo di preghiera particolarmente radicale -, il tema ha assunto un ruolo di primo piano nel dibattito pubblico. È stato inoltre rilanciato negli ultimi giorni dalla scoperta che anche ad uno degli jihadisti del Bataclan rimasti ancora senza nome, il 23enne Foued Mohamed-Aggad, cresciuto nella banlieue di Strasburgo e che aveva passato oltre un anno a combattere in Siria, corrispondeva una «fiche S» ed una segnalazione all’Interpol.

Visto che l’argomento ha catalizzato l’attenzione dei francesi in questo periodo di elezioni, Wauquiez, già noto per aver affermato all’indomani degli attentati che «tra sicurezza e libertà non ho dubbi, scelgo la sicurezza», ha scelto di calcare la mano, auspicando una misura che, se tradotta nei fatti, supererebbe di gran lunga quando accaduto negli Stati uniti dopo l’11 settembre.

Nessuno degli internati di Guantanamo era infatti di nazionalità americana. Il testo che è arrivato al Consiglio di Stato chiede esplicitamente se «la legge può autorizzare una privazione della libertà degli interessati a titolo preventivo e prevedere la loro detenzione in dei centri appositi?». Come misure alternative alla «detenzione amministrativa» generalizzata, si avanza la proposta che ad essere oggetto del provvedimento siano soltanto le persone che hanno già subito condanne per legami con lo jihadismo o, in subordine, che ai sospetti sia imposto l’utilizzo di un braccialetto elettronico o che siano sottoposti agli arresti domiciliari finché è in vigore lo stato d’emergenza.

Se la rincorsa in materia securitaria lanciata dalla destra, Nicolas Sarkozy aveva addirittura proposto di arrestare anche chi avesse semplicemente consultato una pagina web dei fondamentalisti, è spiegabile nel clima elettorale del momento, il vero problema in questo caso è rappresentato dal fatto che l’iniziativa di Wauquiez era stata preceduta da una fuga di notizie proveniente dai vertici dello stesso ministero degli Interni, retto dal falco del Ps, Manuel Valls.

Il 5 dicembre Le Monde aveva pubblicato un articolo il cui titolo spiegava già tutto: «A Beauvau (la piazza parigina sede degli Interni), c’è chi vuole internare chi ha una scheda S». Secondo il quotidiano, in un documento ad uso interno del ministero compariva questa come altre proposte che Valls potrebbe presentare in seno al Consiglio dei ministri entro un mese.
Investire della cosa il Consiglio di Stato non servirebbe perciò a bruciare la proposta della destra, quanto piuttosto a tastare il terreno in vista di una sua possibile adozione per volontà del governo socialista. Con il rischio che un domani Hollande sia ricordato in modo ancor più negativo di quanto è toccato a George W. Bush