Questa non è una campagna elettorale. Per la destra greca è un allucinante viaggio nel passato. Nei tempi bui della guerra civile greca: tre anni, dal 1946 al 1949 di continue stragi e distruzioni al fine di vincere, anche con il Napalm americano, i combattenti comunisti, dopo la sconfitta rifugiati oltrecortina. Torneranno – indomiti – tre decenni più tardi. Una tragedia collettiva, un incubo per tutti i greci, vincitori e vinti.

Ora Nuova Democrazia rispolvera quel periodo oscuro nel vano tentativo di recuperare l’elettorato perso e bloccare l’avanzata impetuosa di Syriza. Lo fa senza pudore. «Non è possibile che il comunismo ritorni in questo paese. Non permetteremo che prendano il potere quelli che i nostri padri e i nostri nonni hanno sconfitto con le armi», ha annunciato in una manifestazione il ministro della Salute Makis Voridis. Il suo predecessore allo stesso ministero Adonis Georgiadis, ora presidente del gruppo parlamentare di Nuova Democrazia, gli ha fatto seguito in tv: «Io vi dico che i rossi non andranno al governo mai, mai, mai, mai! Non lo permetteremo mai» ha urlato a sguarciagola.

Anche volantini, manifesti e social network parlano il linguaggio degli anni Cinquanta: i «fascisti rossi», i tentacoli del «totalitarismo», il rischio di finire «come Cuba», come la «Corea del Nord» oppure, versione light, il Venezuela di Chavez e di Maduro.

E in uno spot elettorale Nuova Democrazia mostra catastrofi nel caso di vittoria di Syriza: campi desolati, negozi con le serrande abbassate, strade deserte, bambini che piangono. Mancano solo i cosacchi che dissetano i cavalli nella fontana di piazza Syntagma.

Nei giorni scorsi sul giornale filosocialista Ta Nea è perfino comparso un servizio dettagliato sulle riunioni che si tengono, in tutta segretezza, nei salotti buoni di Kolonaki, quartiere chic di Atene. Oggetto del dibattito: creare un’armata clandestina, una nuova Gladio, contro la «dittatura comunista». Il servizio riportava che la reazione dei più alla proposta era l’incredulità e lo scetticismo. Ma già il fatto che qualcuno ci pensi e ne discuta è indicativo del clima.

Molti dicono, a ragione, che la destra greca sia arrivata al suo limite. Esaurita, sconfitta, senza idee e prospettive, ricorre istintivamente al repertorio di sempre, anche quello stantio di mezzo secolo fa, esaurito una volta per tutte dalla tragicomica retorica del regime dei colonnelli.

Ma non è esattamente così. Non è per mancanza di idee che il partito del premier uscente Antonis Samaras usa toni da guerra civile. Dietro questa retorica, si nasconde un conflitto sotterranea tra le varie anime dell’area conservatrice in Grecia.

Samaras ora appare come un figlio degenere di Nuova Democrazia, come un estraneo, un barbaro conquistatore che ha usato i vecchi vessilli per portare avanti i suoi, quelli appunto della guerra civile: non una destra democratica, che si è opposta con grande dignità ai colonnelli e poi, nei concitati giorni dell’invasione turca a Cipro nell’estate del 1974, ha assunto il compito di restaurare la democrazia e dare legittimità politica anche ai comunisti.

No, ora Samaras è quello che flirta con l’estrema destra anticomunista e «antinazionale», quello che nel 1992 ha spaccato Nuova Democrazia e provocato la caduta dell’allora premier, il conservatore Konstantinos Mitsotakis. Un corpo estraneo, un «traditore».

Aver assunto nel 2012 la presidenza del consiglio non ha fatto cambiare marcia al presidente di Nuova Democrazia. Il «cerchio magico» dei suoi collaboratori più stretti è composto da personaggi che provengono da esperienze parafasciste e ultranazionaliste.

Come l’avvocato Failos Kranidiotis, che non perde mai l’occasione di ricordare che i nazisti di Alba Dorata sono «gente della nostra stessa area».

Ma ci sono i fascisti, o parafascisti o postfascisti, anche al governo. Lo stesso Voridis, che si richiama alle bande armate dei collaborazionisti che imperversavano nelle campagne durante la guerra civile, viene da quell’ambiente. Fino a pochi anni fa era dirigente del partito di estrema destra Laos, ora fuori dal Parlamento. E prima ancora segretario dei giovani nostalgici dei colonnelli, un picchiatore. C’è una famosa foto che lo mostra con una rudimentale ascia in mano mentre si accinge ad aggredire un corteo studentesco. L’anno seguente farà da compare d’anello al matrimonio del segretario del Front National di Le Pen. Dal Laos proviene anche Adonis, editore e televenditore di un libello antisemita di Kostas Plevris, il famigerato uomo dei colonnelli in Italia, in rapporti con Ordine Nuovo all’epoca dello stragismo. Ma anche il figlio di Plevris, Thanos, è ora candidato di Nuova Democrazia e loda apertamente il regime dittatoriale di Ioannis Metaxas.

Una Nuova Democrazia fortemente sbandata a destra, che cerca di fare concorrenza ad Alba Dorata in intolleranza e razzismo. Qual era la prima dichiarazione del premier dopo l’attacco a Charlie Hebdo? «Per fortuna noi abbiamo eretto il muro sul confine con la Turchia», ha detto. Peccato che i terroristi jihadisti fossero cittadini francesi e che l’unico immigrato musulmano coinvolto era quello che ha salvato gli ostaggi.

Questa deriva estremista provoca sconcerto anche dentro Nuova Democrazia. Evangelos Antonaros, ex ministro e stretto collaboratore dell’ex premier Kosta Karamanlis, ha sbottato su twitter: “Nuova Democrazia è un partito democratico e condanna chi vuole contrapporre le armi alle urne»; e Dora Bakoyiannis, figlia di Mitsotakis ed ex ministra degli Esteri del governo Karamanlis, non perde occasione per differenziarsi. Il lunedì dopo le elezioni porrà anche formalmente il problema della leadership: i giorni di Samaras sono contati.