Prima la Manif pour tous che ha mobilitato per mesi milioni di persone in tutto il paese contro la legge in favore dei «matrimoni gay», quindi la rivolta fiscale dei Bonnets Rouges che ha riempito le piazze della Bretagna, poi la Marcia per la vita all’inizio dell’anno che ha messo insieme in nome della lotta all’aborto la destra religiosa e quella politica di Ump e Front National, infine, alla fine di gennaio, il cosiddetto «Giorno della collera» che ha riunito nella capitale gli oppositori più radicali al governo, gli estremisti neofascisti e i seguaci di Dieudonné, gli integralisti cattolici lefebvriani e gli identitari che chiedono senza mezzi termini le dimissioni di Hollande.

Mai, nella storia più recente della Francia, la piazza era stata così fortemente egemonizzata dalla destra. Mai dei movimenti e delle mobilitazioni nati per motivi specifici, e tra loro molto diversi, avevano finito per convergere in una sorta di programma comune, quello della cacciata della gauche dal potere, quasi si pensasse che proprio da quelle piazze potesse arrivare la spallata decisiva alle istituzioni repubblicane oggi occupate da una sinistra considerata come «abusiva» perché minoranza nel paese. Tutto ciò, ben prima che dalle urne delle recenti elezioni amministrative, uscisse plasticamente rappresentata questa situazione con la vittoria di Marine Le Pen e del partito degli eredi di Sarkozy.

Neofascisti e nazionalisti

Con il clima che si respira oggi a Parigi, non potrebbe giungere più tempestiva la pubblicazione dell’ultimo lavoro di Danielle Tartakowsky, Les Droites et la rue (La Découverte, pp. 208, euro 18), la più ampia e articolata analisi del rapporto che le destre hanno conosciuto lungo l’intero arco della vicenda storica transalpina con «la piazza» e le mobilitazioni pubbliche. Studiosa dei movimenti sociali e specialista delle manifestazioni di piazza, si deve a lei un’importante ricerca sul valore delle celebrazioni del Primo maggio nello sviluppo della sinistra francese (La Parte du reve, 2005) e la condirezione dell’ampia Histoire des mouvements sociaux en France (2012), Danielle Tartakowsky prende in esame una arco temporale che va dalla Terza repubblica ai giorni nostri, partendo dalle manifestazioni nazionaliste e antisemite che scandirono le tappe dell’affaire Dreyfuss alla fine dell’Ottocento per giungere fino alle odierne mobilitazioni di segno omofobo in difesa della «famiglia tradizionale».

A dispetto di ciò che si sarebbe portati a credere, la storia delle destre è in Francia anche e soprattutto una storia di occupazione e presa dello spazio pubblico, quando non di tentativi di utilizzare le proteste popolari per modificare lo status quo del sistema politico. Il catalogo offerto da Tartakowsky non potrebbe essere più esplicito da questo punto di vista: si tratti delle «manifestations-insurrections» dei seguaci del generale Boulanger prima, o di quelli dell’Action française di Maurice Barres poi, dei «rassemblements catholique» che si opponevano alle sinistre negli anni Venti o alle marce delle leghe patriottiche, parafasciste e violente, contro il governo del Front populaire negli anni Trenta, del corteo che attraversò Algeri nel maggio del 1958, segnando l’inizio della rivolta dei pieds-noirs contro l’indipendenza del paese nordafricano dalla Francia, o di quello che il 30 maggio del 1968 rispose alle proteste studentesche riaffermando per le vie di Parigi il sostegno di una parte del paese al generale De Gaulle.

Per molti versi, il punto di svolta decisivo è proprio rappresentato dal Sessantotto e dalla successiva fine del gaullismo. Negli anni successivi emergeranno infatti, da un lato la definitiva consacrazione della piazza come luogo di espressione delle sinistre politiche e sociali. dall’altro lato, la crisi irreversibile di quella cultura nazional-patriottica che aveva talvolta tenuto insieme conservatori ed estremisti, la «maggioranza silenziosa» e i nostalgici di Pétain, spesso all’ombra di un desiderio di rivincita sulla repubblica nata dalla Rivoluzione che emanava da taluni settori della Chiesa cattolica. Questo, perlomeno fino ad anni recenti.

Annunciate sporadicamente dalle proteste del ceto medio e delle professioni liberali contro la presidenza Mitterand, e poi replicate nelle mobilitazioni in difesa della «scuola libera» a metà degli anni Novanta, le piazze di destra sono infatti tornate prepotentemente protagoniste nell’ultima stagione della politica francese. Quella che, non a caso, all’ombra della figura di Nicolas Sarkozy ha prodotto su molti punti un avvicinamento, quando non una convergenza, tra la destra repubblicana e quella estrema.

Un amaro bilancio

Per la storica francese, il bilancio da trarre al termine della sua lunga immersione in vicende spesso poco note, non solo fuori della Francia, non potrebbe essere perciò più inquietante. «Si tende a dimenticarlo – spiega Tartakowsky -, ma le manifestazioni di piazza fanno parte della cultura di alcune componenti della destra francese, soprattutto le più radicali, ma non solo, visto che nel passato è stato questo il terreno su cui si è misurata l’estrema destra delle leghe patriottiche o dei monarchici di Barres, ma anche i movimenti socioprofessionali del ceto medio e dei padroncini. Da questo punto di vista, sia la Manif pour tous che il debutto dei Bonnets Rouges, s’iscrivono perfettamente in questo processo di lungo corso caratterizzato dalle mobilitazioni contro la sinistra che hanno spesso avuto proporzioni molto vaste e sono riuscite a pesare anche in modo determinante sul scelte del potere. In ogni caso, lungo l’intera storia repubblicana, ogni volta che la destra ha scelto la via della piazza, ha finito per produrre una sorta di reazione a catena dalle forti conseguenze sia in ambito sociale che politico».