Proprio nella centralissima Piazza della Borsa e proprio il 12 settembre: la destra di governo triestina l’aveva promesso e la statua di D’Annunzio ci sarà. «Celebriamo D’Annunzio in una doppia veste, quella di insigne letterato e per un atto rimasto nella storia, essere arrivato a Fiume, ma soprattutto per la Carta del Carnaro, atto illuminante che prospettava una civiltà del futuro» dice orgoglioso l’assessore alla cultura Giorgio Rossi.

A sentire le reazioni e a leggere i commenti online i triestini non sembrano così contenti: la statua dedicata al «Vate» è ormai comunemente appellata statua del «Vater» e, una cosa tira l’altra, in tanti l’immaginano luogo degno dove far sostare il proprio cane. Commenti così tranchant che Il Piccolo ha dovuto cancellarne decine. Ma il D’Annunzio bronzeo in piazza ci sarà, nonostante le proteste, le raccolte di firme, gli appelli.

Comunque il clou del centenario della marcia su Fiume si celebra tra Monfalcone e Ronchi dei Legionari. Cerimonia solenne a San Polo presso il monumento dedicato all’impresa, proprio sulla linea di confine tra i due comuni perché nessuno qui lo voleva: sfilata di militari e di automezzi d’epoca, autorità civili e militari, sindaci anche dal Veneto leghista e, come sempre in questi casi, i labari degli Arditi e della X Mas. Esattamente a venti metri dal cippo dell’Aned che ricorda i deportati nei lager nazifascisti, ma tant’è.

Concentramento antifascista, invece, nella piazza di Ronchi. Il Sindaco Livio Vecchiet (centro-destra) se la prende con l’Anpi che, dopo avere inutilmente chiesto che non si autorizzassero celebrazioni così provocatoriamente nostalgiche, ha promosso la contro-manifestazione: «Purtroppo anche all’interno dell’Anpi i soci stanno invecchiando e in questa situazione di difficile ricambio generazionale sia le sezioni locali sia quelle nazionali dovrebbero evitare di farsi coinvolgere e trascinare in attività fuorvianti, frutto di interpretazioni di avvenimenti storici generate da derive culturali di pochi pseudo intellettuali». Non si è accorto, evidentemente, che gli pseudo intellettuali cui pensa sono invece parecchi e, soprattutto, non fanno propaganda ma ricerca storica documentata.

Non gli hanno detto, evidentemente, che il discorso finale della contromanifestazione sarà tenuto da un giovane poco più che trentenne, responsabile provinciale e membro del Comitato nazionale dell’Anpi. Patrik Zulian prepara il suo intervento e mescola alla rabbia un po’ di amarezza: «Siamo ancora qua, a subire le stesse provocazioni, a dover rispondere al revisionismo, a un’idea malata di patria».

Povera Ronchi… Nel 1915 i ronchesi erano stati trasferiti in Stiria, lontano dal terribile fronte dell’Isonzo e dai bombardamenti italiani; al ritorno avevano trovato un’altra patria, l’epidemia di febbre spagnola e il paese distrutto. Tra queste macerie furono alloggiati i Granatieri di Sardegna respinti oltre la linea di armistizio e con loro D’Annunzio partì per occupare Fiume. Nessun ronchese partecipò all’impresa.

Da Ronchi (ormai «dei Legionari» per decreto fascistissimo), invece, partirono in molti il 9 settembre del 1943, quando si formò la Brigata Proletaria che combatté a Gorizia nei 15 giorni della prima battaglia della resistenza italiana, e poi ancora nel Collio e sul Carso. Ronchi, medaglia d’argento al valor militare, non ha dato a D’Annunzio nemmeno un legionario ma ha dato alla Patria e alla democrazia 147 partigiani uccisi. E questo vuole essere la piazza di Ronchi: un 12 settembre contro la strumentalizzazione della storia.