Due anni fa, tra luglio e agosto 2017, il Parco Nazionale del Vesuvio fu devastato da un incendio di proporzioni terribili: il fuoco, di origine dolosa, percorse 3.194 ettari di pineta, interessando l’80% della superficie boscata complessiva. Don Marco Ricci, «Premio ambientalista dell’anno 2017», parroco del quartiere di San Vito, Ercolano, ricorda quei giorni : «Dopo le nostre denunce, dopo la marcia che organizzammo a Ercolano per protestare contro le discariche abusive, i piromani assediarono il Vesuvio, appiccando tantissimi incendi contemporanei fra Ottaviano, Ercolano, Torre del Greco. Per oltre 15 giorni andarono avanti i roghi. Bruciarono non solo alberi, ma tutti i rifiuti che si nascondevano nel parco, bruciò plastica, eternit, rifiuti pericolosi… così noi ci siamo respirati tutto. Quasi nessuna riforestazione da allora e continuano gli sversamenti di rifiuti. Il ministro Costa recentemente è stato qua, ha detto che il Vesuvio sta rifiorendo. Sono tutte chiacchiere, la situazione è critica».

DON MARCO RACCONTA LA STRAGE DEGLI INNOCENTI, che si compie sotto ai suoi occhi: «Celebro funerali di continuo, troppi giovani e bambini uccisi da tumori e leucemie». Insieme ad altri attivisti, da alcuni anni ha fondato l’associazione Salute Ambiente Vesuvio: «Abbiamo fatto un monitoraggio. Quasi tuttele famiglie hanno un morto o un ammalato di tumore o leucemia» sottolinea Marianna Ciano, volontaria dell’associazione, anche lei di Ercolano: «Qui la terra e l’aria sono avvelenate dai rifiuti, dai tralicci, dai roghi, dal traffico… Tutti sappiamo dove sversano i rifiuti, basterebbe sorvegliare quei siti. Poi c’è l’inciviltà della gente: quelli che gettano rifiuti dai finestrini, i gitanti che dopo un picnic lasciano di tutto…». Il sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto (PD), però assicura che il comune si sta impegnando, ha da poco aderito al progetto di videosorveglianza proposto dal Parco, contro l’abbandono di rifiuti nella zona pedemontana. «Non ci sono abbastanza controlli, ancora troppi sversano rifiuti impunemente» chiosa Don Marco. Un altro problema, denuncia il determinato e minuto parroco, sono gli sversamenti di liquami neri: «Il sistema fognario non è capillare e molte abitazioni devono pagare per svuotare il pozzo nero».

NON TUTTI LO FANNO, E COSI’ C’E’ CHI SVERSA illegalmente i liquami neri sui canali (lagni) in mezzo al bosco. «Una sua parrocchiana ha denunciato tutto, ma la situazione non è mai cambiata. Una situazione tragica e surreale resa ancor più grave dall’emergenza rifiuti di giugno: con l’inceneritore di Acerra in manutenzione (che a settembre si fermerà per un mese intero), i rifiuti sono lasciati marcire nell’asfalto rovente». Ricorda Don Marco: «Siamo così dipendenti da un inceneritore, eppure si dovrebbe ricorrere all’incenerimento dei rifiuti solo in ultima istanza, prima la riduzione, il riuso e il riciclo. Ma questo non è mai avvenuto, almeno da noi. A Ercolano, ancora giacciono parecchi rifiuti ammassati indistintamente, con percolato che cola, nelle emergenze rifiuti del 2003 e 2008. Ci sono ancora tantissime micro e macro discariche a cielo aperto, oltre alle discariche di rifiuti tossici mai bonificate. I politici e la camorra, come ci insegna la storia, con le emergenze si arricchiscono…».

INTANTO SUI SOCIAL COMPAIONO FOTO di roghi di rifiuti, fin davanti il cimitero di Ercolano. «Ho una bimba di 7 giorni – commenta una mamma- ho dovuto chiudere le finestre per non respirare questa puzza». Il sindaco di Ercolano, minimizza e rassicura: «Parlerò presto con il prefetto per trovare una soluzione all’emergenza rifiuti, che accomuna tanti altri comuni dell’area, anche se non è stato raggiunto il livello critico di anni fa». Con il caldo in aumento, il rischio di propagazione di incendi nella zona protetta è molto elevato. Il 13 giugno un focolaio è stato appiccato su tonnellate di stoffa (rifiuti sversati da un’industria tessile), plastica e gomma, sotto i pini, in area protetta, e solo grazie ad un tempestivo intervento, non si è esteso.

Silvano Somma, dottore forestale e presidente di Primaurora, associazione nata dopo l’incendio del 2017, lancia l’allarme: «Allo stato attuale, così come nel 2017, la maggior parte della viabilità del complesso Somma-Vesuvio è inagibile o inadatta ai mezzi anti incendio. Purtroppo il fuoco tornerà sulla nostra montagna , e troverà di nuovo terreno fertile nell’assenza completa di prevenzione. Le pinete percorse dal fuoco nel 2017 e non ripulite dagli alberi morti sono delle bombe ad orologeria e quando esploderanno i danni saranno incalcolabili». Gli interventi di abbattimento degli scheletri di alberi completamente bruciati, infatti, sono stati avviati solo da alcuni mesi, ma unicamente nelle aree a proprietà pubblica. Nelle aree private non si è fatto ancora niente, e più tempo passa, meno valore commerciale avrà il legno, tale da ammortizzare il costo dell’intervento, e quindi sempre meno privati vorranno abbattere.

I PROBLEMI NON SONO I RIFIUTI E GLI INCENDI appiccati dagli uomini: c’è anche il dissesto idrogeologico. Senza alberi, le sue pendici sono sempre più fragili. «Dopo i nubifragi di maggio, abbiamo fatto un sopralluogo alla frana del 2017 le cui condizioni ci sono sembrate nettamente peggiorate, con una continua evoluzione ed espansione della voragine». Continua il dottor Somma. Marianna, che adora fare trekking, sottolinea: «Moltissimi sentieri sono ancora inagibili e pericolosi. Un mese fa è morto un ragazzo che percorreva i sentieri in MB, a causa delle pessime condizioni del sentiero. Non è giusto che venga curato solo il cono, quello che porta i soldi del turismo di massa».

Le associazioni a tutela del Vesuvio si sono unite nella «Rete Difesa Vesuvio» che già nel novembre 2018 ha inoltrato all’Ente Parco Nazionale, ai sindaci e alle Procure un esposto contenente la mappatura georeferenziata di tutte le discariche abusive in area protetta, mettendo in guardia le istituzioni sul dissesto idrogeologico nell’area vesuviana, catalogato come R4 (molto elevato). Stefano Donati, direttore Parco Nazionale del Vesuvio rassicura: «Stiamo già lavorando per ripristinare la viabilità sulla strada Matrone».

MA OVVIAMENTE E’ UN PROCESSO COMPLESSO e articolato, servono risorse ingenti e il Parco sta facendo quello che può. «Sta iniziando anche una prima riforestazione, in collaborazione con Legambiente che dona alberi per ogni tessera, ma non basta. Spiega Donati: «Gli studi effettuati dall’Università Federico II sottolineano che il danno grave copre un’area di 500 ettari. Il Parco sta aspettando gli esiti dei 2 bandi (Ministero Ambiente e Città Metropolitana) e l’erogazione dei finanziamenti, relativi alla riforestazione dei primi 160 ettari. I progetti riguarderanno esclusivamente essenze autoctone (leccio, sughera, roverella, frassino e corbezzolo), più adatte all’ambiente vesuviano e più resistenti agli incendi».

«Questo parco è sempre stato un’isola verde nel mezzo di un mare di cemento ed urbanizzazione – conclude Silvano Somma – la scarsa educazione ambientale e civica, l’illegalità diffusa, la mancanza di uomini e mezzi per il controllo territoriale, rendono questa montagna davvero troppo vulnerabile».