Lisa Bosia Mirra, deputata svizzera del Partito socialista, è da anni attiva sulle questioni migratorie anche come presidentessa dell’associazione Firdaus che sta aiutando i migranti bloccati alla stazione di Como. «Il servizio pranzo è una delle due attività che svolgiamo», racconta. «Le operazioni sono portate avanti da un gruppo di volontari misti: alcuni della nostra associazione, altri della parrocchia e altri ancora indipendenti. La seconda attività è la verifica delle storie che i migranti ci raccontano: quando ci dicono di avere dei parenti in Svizzera li andiamo a cercare così da poter procedere al ricongiungimento famigliare. Abbiamo risolto una trentina di casi».

Che possibilità hanno queste persone di riuscire a raggiungere la Germania?
Nessuno può andare in un paese straniero senza avere i documenti o visti con sé. Quindi legalmente il passaggio dalla Svizzera verso la Germania o altri paesi non è possibile. Diversa la situazione di chi voleva chiedere asilo e non ha potuto farlo. Gli accordi di Dublino prevedono che il paese che riceve la domanda d’asilo possa rimandare il migrante nel primo paese di transito. Si crea così un cortocircuito. Il sistema è molto complicato, non solo per chi chiede asilo ma anche per gli avvocati.

Anche per la Svizzera, che aderisce al regolamento di Dublino
Sì. Uno dei motivi per cui la maggior parte delle persone vogliono andare a nord, soprattutto in Germania, è che la Svizzera è molto rigida nell’applicazione del trattato tanto da rinviare in Italia circa 3,500 richiedenti ogni anno. In Germania sono più morbidi.

Cos’è cambiato in Svizzera?
Ci sono diversi fattori. Il primo è che le chiusure di Brennero e Ventimiglia hanno aumentato la pressione su Como. Il secondo è che sono aumentati i numeri delle persone registrate allo sbarco. Infine la Germania ha aumentato i controlli e quindi i respingimenti in Svizzera. Ciò che è meno comprensibile è perché siano state rinviate in Italia persone che pure avevano il diritto di richiedere l’asilo come i minori non accompagnati.

Dopo due settimane e più d’osservazione sono arrivata alla conclusione un po’ triste, che sia semplicemente una questione logistica. Di fondo c’è una difficoltà nel gestire il numero degli arrivi e una sorta di quota non dichiarata di possibili ingressi. Lo dico perché ho visto persone respinte più volte e alla fine ammesse.

Anche lei considera Dublino ormai inadeguato?
Dublino è inadeguato da tempo, e lo dicono le grandi organizzazioni che lavorano con i migranti. Non funzionano i resettlement: a fronte dei posti disponibili sono davvero pochi i migranti che chiedono di accedervi, e quei pochi che hanno tentato devono attendere mesi per raggiungere la loro destinazione.

Ha avuto rapporti con il comune di Como e con il sindaco?
Sì, anche ieri ero in comune al tavolo programmatico. Le novità emerse sono la costruzione del campo d’accoglienza. Sarà un campo di transito per circa 300 persone. Di principio le persone non dovrebbero essere identificate forzatamente anche perché se no il rischio è quello che le persone vadano a dormire altrove e che rimanga un campo vuoto. Si sta anche pensando ad un assistenza legale continua. Sicuramente è più dignitoso dormire sotto una casetta prefabbricata che in un parco. Più che una questione logistica è una questione di diritti. I richiedenti asilo che si trovano a Como dicono: «Noi non siamo qui per mangiare, per fare festa e non siamo qui per dormire noi siamo qui perché abbiamo un sogno da realizzare». Quindi l’aspetto logistico è si importante ma tutto sommato è in secondo piano. E’ importante che queste persone sappiano quali sono i loro diritti, cosa possono o non possono fare.

Chi si vede infranto il sogno ha solo la via illegale per proseguire il viaggio.
È così assolutamente. Noi siamo attivi nei campi in Grecia e posso dire per esperienza che chiunque possa pagare riesce ad andare via.

A Como quali sono i sentimenti di chi è li accampato in stazione?
Si aspettano che ci sia una soluzione che li permetta di attraversare l’Europa. Si aspettano che si apra un corridoio umanitario. Sono stanchi, hanno portato pazienza ma non sapere cosa sarà di loro è più pesante delle tante privazioni che possono soffrire.