Un esposto molto dettagliato, presentato in procura un anno fa. Poi, a inizio del mese scorso, un documentario che ha avuto risonanza nazionale, lanciato proprio dalle pagine del manifesto. Quando il sindacato si muove bene e denuncia, i risultati arrivano: i carabinieri di Catania ieri hanno sgominato una banda di nove caporali, formata da italiani e rumeni, che aveva ridotto in stato di semi schiavitù decine di immigrati, anche donne e minori. Sette gli arresti, e altri due malviventi restano ancora irreperibili: i braccianti, addetti alla raccolta di arance in un grosso centro della provincia, Paternò, stavano sui campi fino a 12 ore al giorno per paghe da fame, e alloggiavano in capannoni senza acqua corrente, energia elettrica e servizi igienici.

«Estorsione ai lavoratori»

La notizia è stata diffusa mentre a Catania si teneva l’assemblea dei quadri e delegati Cgil, tanto che Susanna Camusso, presente all’iniziativa, ha parlato di «estorsione a danno dei lavoratori». Ma c’è un’altra notizia interessante, e che riguarda gli sviluppi di Terranera, il docufilm girato nelle campagne catanesi da Riccardo Napoli e Massimo Malerba, e prodotto da Cgil e Flai: la Coca Cola, che acquista arance e limoni da cinque grosse aziende della zona, nelle settimane scorse ha contattato il sindacato perché avrebbe intenzione di costruire una filiera «etica» per i propri prodotti.

Attratti dalla possibilità di avere un lavoro, i braccianti venivano “ingaggiati” in Romania. Ma arrivati nelle campagne di Paternò il sogno diventava un incubo: vivevano, hanno spiegato gli inquirenti, sotto capannoni senza acqua corrente e energia elettrica, costretti a lavorare per oltre 12 ore al giorno per 50 euro, ai quali venivano detratti 25-30 euro per vitto e alloggio. E se si ribellavano venivano aggrediti.

I carabinieri hanno sentito 41 immigrati vittime dello sfruttamento, soprattutto rumeni dopo che per giorni si erano appostati intorno ai loro alloggi fatiscenti. «Siamo costretti a subire tali azioni criminali e ad abitare in situazioni igieniche pessime, a vivere come animali – hanno fatto mettere a verbale i braccianti – Viviamo come schiavi per qualche spicciolo». Il procuratore Giovanni Salvi e il sostituto Alessandra Tasciotti hanno contestato agli indagati l’associazione per delinquere finalizzata all’estorsione.

Tra gli arrestati, ci sono due imprenditori per conto dei quali i braccianti lavoravano: Rosario Di Perna, di 59 anni, e suo figlio Calogero, di 29. In carcere anche il loro presunto “reclutatore”, il romeno Nicu Rata, di 32 anni. In un’intercettazione replica a chi gli contesta l’assenza dai campi: «Io mandare operai. A te che interessa, che devo lavorare io per forza?». E alla domanda: «Ah, tu fai il padrone?», lui rispondeva: «Certo». Altre quattro persone sono agli arresti domiciliari: Nelu Radu, di 41 anni, Loredana Radu, di 36, Tetyana Mrozek, di 56, e Ilie Dima, di 45. Ci sono anche donne, quindi, tra i moderni caporali.

Il comandante dei carabinieri di Catania, Alessandro Casarsa, parla di «sfruttamento di persone che hanno bisogno di lavorare, entrando in competizione con chi chiede il rispetto del contratto». E si potrebbe aprire un altro filone: alcune giovani romene invece che nella raccolta sarebbero state avviate alla prostituzione.

Arance e limoni “puliti”

Secondo Alfio Mannino, segretario della Flai Cgil di Catania, è possibile inoltre che vi siano «collegamenti tra i caporali e le organizzazioni criminali locali». Mannino spiega che l’efficacia dell’azione sindacale, in questo particolare comparto, consiste proprio nel fare sindacato di strada: contattando i lavoratori non tanto nei campi dove fanno le raccolte (quasi impossibile penetrarvi), quanto piuttosto nei capannoni in cui vivono, o nelle rotonde dove vanno a prenderli i caporali con i pulmini. «Abbiamo fatto tanti giri nelle campagne dell’acese e di Paternò – spiega – e nel febbraio 2014 abbiamo presentato un esposto. Già allora avevamo individuato che il racket partiva dalla Romania, e che nell’organizzazione erano impiegate anche delle donne».

Un lavoro che è poi stato ripreso nel video Terranera, e che ha suscitato l’interesse della Bbc: la tv inglese avrebbe l’intenzione di girare un proprio documentario sulle campagne catanesi. Il tema interessa l’opinione pubblica del Nord Europa: non solo la Gran Bretagna, ma anche i paesi scandinavi, acquirenti dei prodotti siciliani, e attenti per tradizione a una filiera «etica».

Filiera «etica» che vorrebbe costruire anche Coca Cola: la multinazionale, attraverso l’advisor Arché, ha chiesto alla Flai Cgil un parere sui suoi cinque fornitori catanesi, ricevendo un ok di massima solo su quattro di loro. Nelle prossime settimane alcuni rappresentanti dovrebbero incontrare i propri fornitori, e avrebbero l’intenzione di far firmare loro un disciplinare, in cui si autocertifichi che dietro gli agrumi non c’è sfruttamento, ma contratti regolari e lavoro sicuro. «Per evitare brutte sorprese», hanno spiegato ai sindacalisti.