Radio blackout ha raccolto e diffuso la denuncia di un «ospite» al dodicesimo giorno di sciopero della fame recluso nel CPR. «In questo centro ci trattano malissimo, peggio degli animali: il cibo ci viene somministrato in scatole di plastica dopo diverse ore dalla sua preparazione, quindi freddo, e non abbiamo alcun modo di poterlo consumare se non sul pavimento», ha raccontato il ragazzo.

«Perdo ogni giorno un kg, non so se sopravvivrò, ma voglio lanciare questo messaggio: ho perso tutte le mie energie, siamo discriminati in Italia e a nessuno interessa nulla, non venite in Italia!». Ha concluso chiedendo di essere mandato in qualsiasi altro posto, purché fuori da quella prigione il prima possibile.

Non un caso isolato, diverse negli ultimi anni le proteste delle persone detenute nel CPR di Torino. Il 6 agosto dello scorso anno il centro è stato danneggiato da un incendio doloso. Alcune delle persone recluse nel Cpr sono salite sui tetti, in segno di protesta per le condizioni nelle quali sono costrette a vivere. Due mesi dopo invece sono andati distrutti diversi moduli abitativi, dati alle fiamme da cittadini magrebini reclusi da oltre un mese e mezzo nel centro. «È una polveriera e la carenza di personale non aiuta» era stato il commento del segretario del Siap (sindacato italiano appartenenti polizia) Pietro di Lorenzo.

I centri di permanenza per il rimpatrio, ex CIE (centri di identificazione ed espulsione), sono luoghi di reclusione dove vengono trattenuti i cittadini stranieri irregolari in attesa di essere identificati ed espulsi. Ufficialmente una detenzione amministrativa, raddoppiata in virtù del nuovo decreto su immigrazione e sicurezza, da 90 a 180 giorni. Rafforzare la rete dei CPR previo accordo con le regioni e aumento dei rimpatri sono le altre due linee guida contenute nella legge. In Italia quelli attivi, secondo la relazione al Parlamento del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, nel 2018 sono 5: Roma, Bari, Brindisi, Torino e Potenza.

500.000 i migranti da espellere in 5 anni, secondo le parole del vice-premier Salvini, ma le cose non stanno andando in questa direzione. Stando ai dati contenuti in un dossier dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), «nonostante le promesse fatte durante l’ultima campagna elettorale riguardo a un rapido aumento dei rimpatri di stranieri irregolari verso i propri paesi d’origine, nei primi sei mesi del governo Conte i tassi di rimpatrio sono stati del 20% più bassi rispetto allo stesso periodo del 2017». Oltre i costi esorbitanti legati al rimpatrio il governo può contare solo su quattro paesi con i quali ha siglato accordi bilaterali per la riammissione delle persone: Egitto, Tunisia, Nigeria e Marocco.