La storia di Marta è quella di una donna, di una madre che, alla seconda gravidanza, scopre di dover ricorrere a un aborto terapeutico dopo la 20esima settimana. Con tutto il dolore che comporta, a inizio anno si sottopone all’intervento all’ospedale San Camillo di Roma. In estate scopre che il feto è stato seppellito al cimitero Flaminio, che sulla lapide c’è una croce bianca in legno e c’è scritto il suo nome: Marta, seguito dal cognome.

LEI NON AVEVA DATO alcuna disposizione in questo senso. Anzi, aveva detto di non voler funerale e sepoltura. Scopre il tutto per caso, mesi dopo l’aborto. Telefona all’ospedale, chiede informazioni, scopre che la camera mortuaria aveva conservato il feto per 7 mesi. «li teniamo perché a volte i genitori ci ripensano», le spiegano. «Il feto verrà comunque seppellito per beneficenza», dice la voce al telefono alla donna sempre più incredula. «Non si preoccupi, avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome». «Scusi ma quale nome? Non l’ho registrato. È nato morto», domanda Marta. «Il suo signora».

MARTA POI VA AL CIMITERO e trova la “sua” tomba in mezzo a tante altre con i nomi di altre donne. Un’esperienza che in un lungo post pubblicato ieri su Facebook (condiviso da migliaia di persone) definisce «di angoscia e di rabbia». «E’ assurdo, la mia privacy è stata violata, la croce è un simbolo che non mi appartiene». E ancora: «Questo è accaduto a Roma. Questo è accaduto a me».

LA DONNA arriva a rimproverarsi per non avere chiesto subito cosa sarebbe accaduto al feto. E scopre che a Roma, al Flaminio, c’è un campo dove sono sepolti i “prodotti del concepimento” o i “feti” «su semplice richiesta dell’Asl». Il Regolamento nazionale di polizia mortuaria indica infatti che, dopo la 20esima settimana di gestazione – e in assenza di indicazioni dei genitori- i feti siano sepolti per disposizione delle Asl. E nel regolamento di Ama (la multiutility di Roma che si occupa anche dei servizi cimiteriali) si legge che la sepoltura è costituita «da una croce in legno ed una targa su cui è riportato comunemente il nome della madre o il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero, se richiesto espressamente dai familiari». Marta nega di aver fatto richiesta.

AMA SI DIFENDE, parla di una sepoltura «effettuata su specifico input dell’ospedale e autorizzata dalla Asl». «Semplici esecutori dei regolamenti», spiegano, «non abbiamo nessun ruolo in simili decisioni». Quanto al segno funerario (la croce), «è quello tradizionalmente in uso, in mancanza di una diversa volontà». E il nome della madre sulla tomba? «L’epigrafe deve in ogni caso, in assenza di un nome assegnato, riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura», spiegano da Ama.

I FREDDI TONI BUROCRATICI non spiegano però perché nel Giardino degli Angeli, inaugurato al cimitero Laurentino nel 2012 dalla giunta Alemanno per ospitare «i bambini mai nati», si sia invece deciso di utilizzare lapidi tutte uguali, e di rendere possibile il riconoscimento solo con un «codice posto sul retro» o con un nome sulla lapide, anche di fantasia. Una scelta molto più rispettosa della privacy e del dolore dei genitori.

«LA SEPOLTURA dei feti non può essere una procedura automatica e imposta a tutte, senza comunicazione, senza consenso. Perché questa diventa violenza», attacca la senatrice Pd Monica Cirinnà. «Vedere il proprio nome stampato sulla croce di un feto è una evidente violazione della privacy. Come a dire a tutti: “La signora ha abortito”». «Si sta tentando di rimettere in discussione la 194. Non lo permetteremo», chiude Cirinnà.

IL DEPUTATO radicale Riccardo Magi annuncia di rivolgersi al Garante della Privacy: «Bisognerebbe chiedere al Comune di Roma di chiarire se c’è stato un problema oppure è un modo di agire sistematico, e correggerlo immediatamente». «Seppellire il feto contro la volontà della donna usandone il nome è mostruoso», attacca l’associazione «Non una di meno». «E’ stata presa una decisione che non ha nulla a che vedere con il rispetto», dice la ginecologa e militante radicale Mirella Parachini. «Credo ci siano gli estremi per una azione legale».