«Tra un governo Conte e l’altro si sono perse le tracce del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), complice la tribolata riorganizzazione del ministero dello Sviluppo economico che sembra aver paralizzato l’Ufficio minerario, anche per la sola lettura delle pec…». Il Coordinamento nazionale No Triv torna a sollecitare, dopo mesi di inutile attesa, la realizzazione del Piano delle aree, lo strumento normativo che individua le zone dove, nel nostro Paese, sarà consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca ed estrazione di gas e petrolio sia in mare che sulla terraferma.

Stando agli atti parlamentari, la prima bozza del Piano avrebbe dovuto essere presentata entro il 30 luglio scorso; poi lo slittamento al 30 ottobre a causa della mancata designazione di due rappresentanti della Conferenza delle Regioni in seno ad un tavolo tecnico che vedrà lavorare insieme Mise, ministero dell’Ambiente, Ispra, Regioni ed enti vari. Risolto l’intoppo – dicono i No Triv – «ci si sarebbe aspettato che la montagna partorisse… un topolino. Invece no, del Piano non v’è traccia. E neppure di una bozza di esso».

AAA Piano cercasi… Gli ambientalisti chiedono quando sarà pronto un primo elaborato e perché i ministeri dello SviMise e dell’Ambiente non abbiano mai risposto alla richieste dell’Associazione dei comuni virtuosi che intende portare il proprio contributo di conoscenza delle innumerevoli realtà territoriali e delle loro peculiarità ai fini della redazione del documento. «Perché i Comuni – è l’interrogativo – non sono stati coinvolti fin da principio nel processo di elaborazione del Piano? Eppure sono fondamentali. Eppure la norma (legge 12/2019) parla chiaro e sottolinea che esso deve tener conto delle ’caratteristiche del territorio, sociali, industriali, urbanistiche e morfologiche, con particolare riferimento all’assetto idrogeologico e alle vigenti pianificazioni’ …».

«Perché le Regioni – viene ancora chiesto – non si sono fatte esse stesse promotrici di un momento quanto meno di consultazione con i Comuni, prima di rappresentare le loro argomentazioni ’tecniche’ al tavolo romano? Sulla base di quali criteri e con che tipo/ampiezza di delega le Regioni tutte, in Conferenza, si sono affidate a Marche ed Emilia-Romagna (quest’ultima notoriamente Si Triv) per rappresentare le loro ragioni? La Regione Sicilia, che disapplica spesso le leggi in materia e tira dritto per conto proprio, che posizione ha? Senza l’inclusione di questa parte d’Italia – viene fatto presente – il Piano nasce monco».
I No Triv ribadiscono che «occorre rispettare la scadenza di legge per l’approvazione del Piano, in assenza del quale le aziende estrattive oil&gas tornerebbero a fare il bello e il cattivo tempo. Sarebbe il marasma in un ambito delicato. La qualità del Piano – si ribadisce in una nota – deve tener conto sia delle specificità e delle fragilità dei territori ma anche dell’impellente necessità di abbandonare le fonti fossili nell’ottica del rispetto degli accordi internazionali sul clima, che sono vincolanti».

L’altra questione irrisolta «è costituita dal meccanismo che consente alle aziende che si occupano di attività estrattive di poter proseguire anche oltre la scadenza naturale della concessione, senza preventiva autorizzazione». È accaduto, di nuovo, il 26 ottobre scorso in Basilicata, in Val d’Agri, con l’Eni. La soluzione proposta in questo caso è semplice: «Abrogare il decreto legge 179/2012 che autorizza le società ad operare in regime di proroga».