E meno male che Minniti è «uomo silenzioso e riservatissimo», scriveva ieri la Repubblica al seguito della sua campagna elettorale. Perché non solo chiede voti con convinzione: «Se voi avete bisogno di sicurezza sono la persona giusta da votare», insomma un ministro degli interni buono per tutte le stagioni-coalizioni.

Ma soprattutto Minniti – dimentico che la democrazia si difende con la democrazia e, storicamente in Italia, da chi scende in piazza – ora ammonisce, minaccia, «vieta» e rivendica.

Non gli è bastata la pressione esercitata sulle organizzazioni democratiche Arci, Anpi, Libera e sulla Cgil che hanno revocato all’ultimo momento la manifestazione nazionale antifascista che avevano convocato domani a Macerata per protesta contro l’attentatore fascio-leghista Traini.

Ora, di fronte alla protesta che si leva dentro queste organizzazioni e di fronte alla presenza in piazza sabato a Macerata della Fiom, di molte forze di sinistra e dei centri sociali, incapace com’è di proibire la piazza ai neofascisti di Forza nuova e Casa Pound che scorrazzano, con Salvini, per le Marche e non solo, avverte che se l’appello a non manifestare non verrà accolto «dalle forze politiche…ci penserà il Viminale a vietarle.

Non gli bastava la breccia antidemocratica che ha aperto con l’avvio del blocco dell’accoglienza ai migranti in Mediterraneo, dopo la colpevolizzazione delle Ong di soccorso umanitario a mare, e con la consegna del controllo degli sbarchi alla cosiddetta «guardia costiera libica».

Vale a dire alle milizie che controllano, in armi e con centri di detenzioni denunciati da tanti reportage giornalistici e da tutti gli organismi umanitari – Unhcr-Onu, Human Right Watch, Amnesty International – l’intera Libia, sempre in preda ad una feroce guerra intestina.

Eppure, quando aveva dichiarato l’estate scorsa: «Se non avessimo fatto questo in Libia c’era da temere per la tenuta democratica del Paese», aveva ricevuto la pronta risposta del Guardasigilli Orlando: «Non credo sia in questione la tenuta democratica del Paese per pochi immigrati rispetto al numero dei nostri abitanti. Non cediamo alla narrazione dell’emergenza perché altrimenti noi creiamo le condizioni per consentire a chi vuole rifondare i fascismi di speculare». Ma il «nostro riservatissimo» Minniti addirittura rilancia: «Ho fermato gli sbarchi perché avevo visto all’orizzonte Traini», vale a dire l’azione armata del fascio-leghista di Macerata. Insomma, siamo al populistico: l’ho fatto per voi.

Così Minniti – che con l’uso della scrivania del Duce, si compiace di raccontare che un «sultano dei Tuareg» l’ha definito «l’inviato di dio» – dissimula il fatto che proprio questa posizione rischia il giustificazionismo; e che è su questa ambiguità che si è innestata la strumentalizzazione elettorale di Berlusconi della cacciata dei 600mila migranti inesistenti, come inesistente è «l’invasione» dei migranti.

Del resto come definire se non giustificazioniste le sue dichiarazioni appena dopo gli spari del fascioleghista Traini: «Nessuno deve farsi giustizia da sé». Come se in quel gesto criminale ci fosse un barlume di giustizia collegabile alla tragica vicenda della ragazza morta di overdose e barbaramente fatta a pezzi dai pusher.

Ma l’ambiguità più grave è quella neo-coloniale. «L’accordo con la Libia – dice Minniti – è un patrimonio dell’Italia di cui dovremmo essere orgogliosi. Da sette mesi consecutivi calano gli sbarchi, una cosa impensabile qualche tempo fa». L’accordo non è servito, a quanto pare, a difendere la democrazia, ma a tenere il più lontano possibile dalla coscienza democratica europea e dall’opinione pubblica il misfatto delle morti a mare, relegandone il dramma nei deserti, con tanto di minacce armate alle Ong umanitarie.

E infatti denunciano l’Onu e l’Oim: «Nel gennaio 2018, 246 migranti sono morti nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere per la maggior parte l’Italia, cosa che fa di gennaio il mese più mortale nel Mediterraneo dal giugno 2017».

Diminuiscono gli arrivi ma i flussi no.

Non dimenticando che la Libia, oltre ai centri di detenzione per i migranti in fuga da guerre e miserie spesso provocate dalla nostra economia di rapina, è diventata una grande trappola nella quale sono rimasti rinchiuse tra le 700mila e il milione di persone.

Che ora proviamo ad arginare – su 5mila km di frontiera? – arrivando militarmente in Niger.

L’idea è allargare il sistema concentrazionario, esternalizzando l’accoglienza in veri campi di concentramento, naturalmente coinvolgendo quel che resta dell’Onu con i cosiddetti centri di identificazione.

Quindi trasformiamo in lager buona parte del continente africano «per la nostra democrazia», dimenticando che così facendo distruggiamo la democrazia in Africa. Tantopiù che avendo il governo, il centrosinistra e il M5S, accettato la formula di Salvini «aiutiamoli a casa loro», avviamo missioni militari e investimenti che finiscono per sostenere solamente le predatorie e leadership locali anche da noi strutturalmente corrotte.

Del resto questo scambio «per la democrazia» è già accaduto per altri «posti sicuri»: la Turchia del Sultano Erdogan, il supermercato d’armi dell’Occidente, e l’Egitto del sodale golpista al-Sisi. Siamo al disprezzo del diritto-dovere all’accoglienza e alla normalizzazione dei flussi: questo un governo democratico dovrebbe fare, non rincorrere le pulsioni razziste.