È durata poco la gioia di Maria Isabel Chorobik de Mariani, novantacinquenne Abuela de la Plaza de Mayo: la donna che si era presentata con il certificato di un laboratorio analisi privato non è la nipote n. 120. A differenza di quanto annunciato dai media, il Banco Nacional de Datos Genéticos ha stabilito con certezza che la giovane Maria Elena Wherli non ha nessun legame di parentela con «Chicha» Mariani, una delle 12 fondatrici delle storiche Abuelas : «Si è trattato di un errore comunicativo commesso in buona fede», ha dichiarato l’avvocato Ramos Padilla a nome di Mariani. La Abuela – ha aggiunto – «è molto triste e addolorata», ma decisa a continuare la lotta.

Da 39 anni, la Chicha cerca la nipote: da quando, il 24 novembre del 1976, militari e polizia attaccarono la casa di Diana Teruggi e Daniel Mariani, uccidendo vari militanti. Diana, ferita, fece scudo col suo corpo alla figlia Anahi, che venne sequestrata. Il padre, Daniel Mariani, che non si trovava nella casa, verrà assassinato nell’agosto del 1977.

La casa fu dichiarata Luogo di memoria del terrorismo di stato che, durante la dittatura militare (1976-83) ha provocato circa 30.000 desaparecidos. Lì veniva stampata la rivista Evita Montonera, la prima a denunciare le scomparse durante i «voli della morte» e l’esistenza dei centri clandestini di detenzione. I muri recano ancora le tracce dei proiettili. Mariani ha fondato l’Associazione Anahi nel 1996, in ricordo della nipote Clara. Nel 2007, la Abuela ha ricevuto un importante riconoscimento per la sua attività in favore dei diritti umani.

Al dolore per il mancato ritrovamento, si aggiunge la preoccupazione: il nuovo governo di destra ha promesso di fare piazza pulita del lavoro di recupero della memoria, portato avanti durante i governi Kirchner per impulso delle Madres e dalle Abuelas de Plaza de Mayo. E questo «autogol» su cui i media di destra si sono buttati a pesce, non aiutano il lavoro delle Abuelas.

L’imprenditore Macri deve rispondere ai suoi sponsor di estrema destra e ha già fatto capire l’aria aggredendo apertamente Ebe de Bonafini, storica Madre de la Plaza de Mayo: vuole mandarla in galera per «incitamento alla violenza contro il governo». Bonafini ha reagito con orgoglio: «Non riconosco i loro giudici e i loro tribunali – ha detto – se mi processano rifiuterò la difesa».

Movimenti e organizzazioni per i diritti umani sono in allerta. A Natale hanno manifestato la loro solidarietà e diffuso un comunicato in cui richiamano l’attenzione della solidarietà internazionale sul nuovo contesto in atto nel paese. Macri, con una raffica di decreti ha deciso si spazzar via le conquiste sociali realizzate dai suoi predecessori. Con nuove nomine di alti magistrati e con la rinnovata pressione dell’Esecutivo, mira a rimuovere dall’incarico la Procuratrice generale Alejandra Gils Carbo e a depotenziare i processi per il recupero della memoria.

Le organizzazioni per i diritti umani denunciano la svolta emergenziale nelle politiche sulla sicurezza, tese a criminalizzare la protesta sociale e a «farci ritornare – scrivono – ai momenti più bui della nostra storia». Al contempo, il documento – firmato dalle principali organizzazioni per i diritti umani – rifiuta le «nomine di funzionari nazionali e provinciali legati al terrorismo di Stato e a reati di violenza istituzionale». Al contempo, viene rivolto un invito ai tre poteri dello Stato a far proprie «le conquiste che oggi sono patrimonio di tutto il popolo argentino, attraverso il rafforzamento e l’approfondimento delle politiche pubbliche, sostenute da un adeguato finanziamento».

Lo schiacciasassi delle destre, intanto, va avanti. La polizia ha fatto irruzione nella sede dell’Afsca, l’organismo che regola i medio audiovisivi in base all’avanzatissima Ley de Medios. Gli impiegati sono stati malmenati e l’istituto è stato chiuso «per aver moltiplicato la presenza di impiegati senza una funzione precisa».
Picchiati anche i lavoratori dell’impresa Cresta Roja, che da una settimana bloccavano parzialmente l’aeroporto internazionale di Ezeiza. La polizia è intervenuta con manganelli e proiettili di gomma, vi sono stati scontri e feriti. Il fallimento dell’impresa rischia di lasciare a casa 3.500 lavoratori.