Dopo aver minato la stabilità del Libano imponendo le dimissioni (poi sospese) al premier Saad Hariri, i sauditi sono ora riusciti ad impantanare le già modeste possibilità di successo delle trattative, tra il governo siriano e i rappresentanti delle opposizioni, che si aprono oggi a Ginevra sotto l’egida dell’Onu. Come aveva anticipato il quotidiano di Damasco al Watan, la delegazione governativa ha rinviato la partenza a causa della dichiarazione diffusa la scorsa settimana al termine della riunione a Riyadh dagli oppositori telecomandati dai Saud. Nel documento è stata inclusa di nuovo la richiesta che il presidente Bashar Assad si faccia da parte subito, quindi prima di qualsiasi accordo per una soluzione politica della guerra in Siria. «Abbiamo ricevuto un messaggio da parte del governo siriano in cui si affermava che oggi la delegazione del regime non sarebbe arrivata a Ginevra», ha comunicato ieri l’inviato per la Siria Steffan de Mistura al Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Damasco vuole chiarezza sugli obiettivi del negoziato e denuncia il «ritorno al punto di partenza» dopo i passi in avanti fatti nell’ultimo anno – agevolati dai successi militari dell’esercito siriano contro la galassia jihadista e islamista – per spingere gli oppositori e i loro sponsor arabi ed occidentali a fare i conti con la realtà e a rinunciare definitivamente ad una richiesta insostenibile. Non la pensano così i sauditi che non si rassegnano e stanno facendo di tutto per rovesciare le intese sulla Siria raggiunte da russi, turchi e iraniani e che, almeno in parte, trovano appoggio anche a Washington. Nuove difficoltà anche per il Congresso nazionale per il dialogo sulla Siria in programma a Sochi. Sarà posticipato al febbraio 2018. Doveva tenersi già questo mese ma era stato posticipato a dicembre. L’iniziativa russa vuole mettere insieme tutte le componenti della società siriana, compresi i curdi. Ma i curdi non ci sono ancora. Lo ha confermato ieri Qadri Jamil, a capo del gruppo dell’opposizione “Piattaforma di Mosca”.

E mentre il negoziato a Ginevra diventa zoppo e quello a Sochi subisce un nuovo rinvio, il principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, ha lanciato a Riyadh la “Coalizione antiterrorismo” formata da 41 paesi musulmani, in occasione della riunione dell’Imctc (Islamic Military Counter Terrorism Coalition). Lo smanioso rampollo reale, che di fatto è già subentrato al padre re Salman, ha spiegato che la Coalizione metterà insieme «le sue capacità militari, finanziarie, politiche e di intelligence…e ciò avverrà a partire da oggi ed ogni paese contribuirà con il massimo delle proprie capacità». Quindi ha versato lacrime di coccodrillo condannando l’attacco di venerdì scorso alla moschea sufi nel Sinai. L’erede al trono ha dichiarato che si tratta di un «evento molto doloroso che ci ricorda i pericoli del terrorismo e dell’estremismo». Commovente. Tuttavia il giovane “Mbs”, come da un po’ lo chiamano i media anglosassoni, ha omesso un particolare non proprio insignificante. Riyadh contribuisce generosamente al sostegno di istituzioni e gruppi religiosi vicini al salafismo – cugino di primo grado del wahhabismo saudita – che da anni è il principale produttore di estremismo e jihadismo armato in giro per il mondo.

Al parto della “Coalizione antiterrorismo” islamica, che si aggiunge a quella che è nota ufficiosamente come la “Nato araba” (Arabia saudita, Emirati, Egitto e Giordania), non ha partecipato il Qatar, pur essendo un paese membro dell’Imctc. Doha ha replicato all’offensiva, per ora diplomatica ed economica, scatenata nei suoi confronti lo scorso 5 giugno da Arabia Saudita, Emirati, Bahrein ed Egitto che hanno interrotto le relazioni. Il generale Rahil Sharif, comandante militare dell’Imctc, ieri ha parlato di «un approccio integrato per coordinare e unire gli sforzi sui quattro cardini della coalizione: l’ideologia, la comunicazione, il finanziamento del terrorismo e il settore militare, al fine di combattere tutte le forme di terrorismo ed estremismo». Nell’Imctc detterà legge l’Arabia saudita che, non è difficile immaginarlo, indicherà di volta in volta i «terroristi da colpire». E, possiamo scommetterci, saranno solo gruppi sciiti legati all’Iran, come gli houthi yemeniti e il movimento libanese Hezbollah.