Life in progress, la vita in corso. È questo il titolo della serata con cui Sylvie Guillem, icona della danza mondiale, darà nel 2015 il suo addio alle scene. Debutto al Comunale di Modena il 31 marzo, chiusura del tour a Tokyo in dicembre. Un programma composto da due creazioni, un assolo per Sylvie di Akram Khan e un duo di Russell Maliphant per Sylvie e la solista del Teatro alla Scala Emanuela Montanari, seguiti da Bye di Mats Ek e dalla ripresa di Duo di William Forsythe ballato al maschile.

«Dopo 39 anni di pratica – racconta Sylvie -, ho deciso di fare il mio ultimo inchino. Ho amato ogni minuto di questi 39 anni e oggi ne godo ancora allo stesso modo. Voglio fermarmi mentre sono ancora felice di fare quello che faccio con orgoglio e passione. Mi sono imbarcata in un viaggio entusiasmante, ora sto per cambiare direzione. Questa è una ’Life in Progress’, una vita in corso. La mia».
Classe 1965, Sylvie Guillem ha oggi come ieri un carisma mozzafiato. La carriera parte dall’Opéra di Parigi, alla cui scuola Sylvie entra a 11 anni. A 19 è già étoile del teatro, nominata «su campo» alla fine del suo primo Lago dei cigni da Rudolf Nureyev. Bellezza nel cigno bianco Odette, cattiveria nel cigno nero Odile, un’attitudine elettrizzante ad attraversare con scioltezza le difficoltà tecniche della danza accademica che ha fatto storia. E poi c’è il fisico da copertina, gli occhi verdi, acuti, incorniciati da un caschetto ribelle di capelli rossi, le gambe e le punte d’acciaio, le braccia parlanti. Insofferente ai compromessi – da giovane la chiamavano «miss no» – sceglie una carriera indipendente che dopo l’Opéra di Parigi l’ha portata a danzare con il Royal Ballet di Londra, l’American Ballet Theatre, la Scala. L’abbiamo vista esplorare con grinta mutevole la più pura tecnica accademica, gli off-balance della rivoluzione post-classica di William Forsythe, l’espressività narrativa di Mats Ek, le astrazioni contemporanee di Russell Maliphant, il graffio di Akram Khan, le visioni del teatro di Lepage. Tra i suoi partner più amati Massimo Murru, étoile scaligera con cui ci ha stregato in struggenti Giuliette, drammatiche Manon, il graffio sferzante di Forsythe in 6000 Miles Away.

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Avremmo voluto vederla danzare ancora molti anni, ma chapeau a una scelta che apre il futuro al cambiamento. Life in Progress è un bel titolo e se Guillem ne ha fatto il nome del suo ultimo tour, altri grandi della danza potrebbero usarlo come motto di una condivisione di cambio di rotta. Due tra questi sono nomi chiave della coreografia a cavallo tra secondo Novecento e primi anni Duemila: Jirí Kylián e William Forsythe.
Kylián è stato l’artefice geniale in Olanda della lunga stagione d’oro del Nederlands Dans Theater. Nato nel 1947 nell’ex Cecoslovacchia, Kylián ha firmato un corpus di più di 100 opere, coreografie in cui la relazione tra danza e musica è viaggio nelle emozioni, attenzione alla personalità dei danzatori, realizzazione visiva dell’immaginario. L’americano William Forsythe è un maestro la cui ricerca in perenne movimento ci ha lasciato capolavori come i grandi affreschi post-moderni del periodo del Frankfurt Ballett nonché le creazioni aperte al connubio tra danza, performance, arti visive, dell’attuale Forsythe Company, con doppia sede a Dresda e Francoforte.
Anni 65, in Germania da 40 anni, Forsythe ha annunciato di ritirarsi dalla direzione della Forsythe Company, che da settembre 2015 sarà affidata all’italiano Jacopo Godani. Danzatore di Forsythe a Francoforte dal 1991 al 2000, Godani oggi è uno dei coreografi più interessanti della sua generazione. Forsythe sarà consigliere artistico della compagnia, ma l’organico muterà e anche il corpus del repertorio. Un mutamento non indifferente nel paesaggio della danza di oggi.

Kylián, da parte sua, ha lasciato già da tempo la direzione del Nederlands Dans Theater. Negli ultimissimi anni riserva la sua indefessa creatività ad altro: il cinema. Ha già firmato, prima come autore, quest’anno come autore e regista, tre corti bellissimi, proiettati in ottobre al Reggio Film Festival alla presenza dell’artista. Alla Fonderia di Reggio Emilia, sede della compagnia di danza Aterballetto, Kylián ha introdotto la prima mondiale di Schwarzfahrer (Passeggero clandestino).

Un film «muto» in bianco e nero di 6 minuti, il primo di Kylián come regista, direttore della fotografia Jan Malir, cameraman tra i più incisivi della Repubblica Ceca. Si ambienta in un tram degli anni ’30 ed è girato a Praga. Due gli interpreti, Sabine Kupferberg, danzatrice storica del Nederlands Dans Theater, moglie e musa di Kylián, e Patrick Marin. Un film magico sulla fugace relazione tra un uomo e una donna, potente per musicalità delle immagini, uso dello spazio, comunicazione visiva del movimento.

Girato in un interno è invece Between Entrance & Exit, del 2013, regista, per Kylián, Boris Paval Conen. Un film legato alla giovinezza del coreografo, girato anch’esso a Praga, interpreti Sabine Kupferberg e David Krügel: un affondo inquieto sulla coppia, girato da un’incalzante prospettiva soggettiva. Musiche evocative di Han Otten, collaboratore di Kylián in tutti i tre film presentati a Reggio, a partire dal surreale Car-men, rivisitazione della Carmen di Bizet, ambientata in una miniera abbandonata per un artista in vitale rinnovamento.