L’abito morbido, avvolgente, è rosso acceso, come il turbante. Le mani, curatissime, si allungano elegantemente dai braccioli della poltrona imbottita. Un leggero sorriso anticipa la voce un po’ roca, determinata. «Siamo un popolo a cui piace la vita e l’amicizia. Un valore presente nella nostra Rivoluzione. È qualcosa che Fidel Castro, il nostro leader, ha dimostrato nell’aiuto al nostro popolo. Siamo una nazione piccola, ma siamo forti nella volontà e nella nostra idea di umanità. E non c’è niente di più bello della danza». Era il 2008. A L’Avana Alicia Alonso, la fondatrice del Ballet Nacional de Cuba scomparsa il 17 ottobre a 98 anni, racchiudeva in queste parole il senso di una vita: «L’arte è qualcosa che possiamo offrire a tutti, amiamo tanto la danza, perché la possiamo condividere, il nostro modo di ballare è comunicare con tutti. La cultura è importante per la nazione».

Si stava per festeggiare al Gran Teatro de La Habana, intitolato a Alicia Alonso dal 2006, il 60° anniversario del Ballet Nacional de Cuba e il 21° Festival Internacional de Ballet. Gli occhi socchiusi nel volto attento, continuò: «Provo allegria se ciò di cui sono responsabile va bene, ma se qualcosa non va, sono una donna che non si addormenta nella tristezza, reagisco e combatto». Chi sarebbe riuscita a diventare, come lo è stata lei, «prima ballerina assoluta», con problemi alla vista iniziati da giovanissima e la conseguente cecità?
«Mai dimentico» le scrisse pubblicamente sul Granma Fidel Castro «quello che mi raccontasti un giorno sull’udito, che ti permette di seguire il balletto a occhi chiusi, grazie al leggero rumore delle scarpe da ballo. Il tuo merito è molto grande. Ottenesti i maggiori allori del mondo prima del trionfo della Rivoluzione. Non è da tutti realizzare questa prodezza.

Oggi il balletto e molte altre attività artistiche e la cultura si sono massificate. Fu come la mano di seta che risvegliò il genio addormentato nel fondo dell’anima del nostro popolo».
«Alicia ha inventato il balletto cubano» puntualizza Elisa Guzzo Vaccarino, critico di danza e grande conoscitrice di ciò che si danza nell’isola caraibica, autrice di Cuba Danza (editore Gremese) in uscita nel 2020. «Partita da Cuba molto giovane per gli Stati uniti, dopo aver studiato alla Sociedad Pro-Arte Musical, Alicia è svettata grazie al talento (la sua Giselle ha fatto storia) ma anche in virtù dell’insegnamento di ballerini e maestri come l’italiano Enrico Zanfretta che da Venezia ballò a Londra e poi insegnò a New York, e Alexandra Fedorova, allieva del nostro Enrico Cecchetti.
Interessante riflettere su come il virtuosismo di Alicia abbia radici anche in quella scuola». Tornata a Cuba nel 1948 per fondare la sua compagnia, con la Escuela Nacional de Ballet ha aperto poi al popolo le porte del balletto, non più vista come arte per l’élite, andando a cercare i talenti tra i più bisognosi, facendo spettacoli per tutta l’isola, nelle fabbriche, a prezzi bassissimi.

«Le cose però non sono mai semplici» prosegue Guzzo Vaccarino «il balletto è considerato per tradizione blanco, ballerine nere nelle grandi compagnie di classico sono ancora una rarità, con i maschi le cose sono andate meglio, pensiamo alla carriera internazionale di Carlos Acosta (che da gennaio 2020 dirigerà tra l’altro il Birmingham Royal Ballet ndr.) alla cui storia tra L’Avana e il Regno Unito si ispira il film Yuli. Oltre ai ballerini restati nel Ballet Nacional de Cuba e nell’isola, sono tantissimi i danzatori e maestri cubani che hanno portato all’estero la scuola cubana. La distingue lo stacco nel salto dei maschi, la potenza e velocità dei giri, i virtuosismi femminili come i multipli fouettés. Basta guardare artisti come Viengsay Valdés e giovani delle ultime generazioni Rafael Quenedit, Raúl Abreu, Grettel Morejón, Ginett Moncho e Adrian Sánchez».
Il fatto è che in un’epoca come la nostra in cui tutto è globalizzato e anche nel balletto gli stili tendono a confondersi, quello cubano difficilmente si annacqua. Anche forse per quella sensualità naturale del movimento che respira per le strade di Cuba. Una musicalità che era anche nel sangue di Alicia. «A novant’anni passati», conclude Guzzo Vaccarino, «la ritroviamo ospite d’onore al Callejón de Hamel, un famoso posto de L’Avana dove tutte le domeniche si danza la rumba nera. Un ballo che Alicia seguì felice battendo il ritmo con i piedi, mentre riceveva il diploma d’onore come “figlia illustre di Cuba».

In questi ultimi anni Alicia Alonso ha continuato a dirigere con tempra che sembrava eterna il suo Ballet Nacional. Fino a quando, al Festival Internacional del novembre 2018, la madre del balletto cubano non è apparsa pubblicamente come sempre aveva fatto. Motivi di salute. Un primo segnale. In gennaio il secondo passo: la notizia della nomina a vice direttrice artistica della compagnia di Viengsay Valdés, luminosa prima ballerina della compagnia, cresciuta con Alicia. Al Festival 2018 aveva ballato un solo commovente: Par Alicia di Tania Vergara. Un passaggio di consegna graduale di un’eredità e di uno stile. 42 anni oggi, la prima volta che la incontrammo fu a L’Avana. Ci disse: «mi ricordo di una riunione in cui Alicia spiegava ai ballerini cosa fosse lo stile cubano. Lo spiegava con le mani, con la mimica, con il busto, tutte le posizioni e lo stile che si devono avere nel balletto. Mi impressionò molto, pur restando seduta, lei ballava». Oggi è Viengsay a impostare decisioni sulla compagnia e sul repertorio del Ballet Nacional che avrà collaborazioni con artisti stranieri, contemporaneamente fedele all’eredità del balletto cubano. Tra gli artisti invitati, il coreografo residente dell’American Ballet Theatre, Alexei Ratmanski che monterà per il Ballet Nacional il suo splendido Concerto Dsch. Valdés alla Prensa Latina: «Spero di trasmettere sicurezza e inspirazione per condividere il sogno comune di una compagnia forte e unita». Hasta la victoria siempre, Viengsay.