Può ancora la punta, oggetto feticcio del balletto, essere strumento per raccontare il nostro tempo? Con efficacia risponde Sur Pointes, dittico del Ballet National de Marseille diretto da Emio Greco e Pieter C. Scholten che a pochi mesi dal debutto in Francia è stato presentato l’altro ieri nella avveniristica sede del LAC nella stagione di LuganoInScena, coproduttore dello spettacolo con il teatro Grande di Brescia dove Sur Pointes è stasera.

Sur Pointes si apre con Pointless, firmato dal giovane belga Jeroen Verbruggen, pezzo che propone un immaginario nutrito dai cliché del classico: punte, sbarra e tutù. Ma i tre elementi sono trasformati da linee coreografiche non armoniche, dalla decentralizzazione dello spazio, da tutù spiattellati contro il busto o la schiena, indossati, come le punte, da femmine e maschi. Le punte, quasi fossero contemporanee «scarpette rosse» (si ricordi il potere diabolico delle punte nel film del 1948) trascinano i corpi in una dinamica scardinante, con i tutù decomposti in corolle, copricapo, ali, fino a quando, in coni di luce segnati da laser, i danzatori si liberano da tutù e sbarra in duetti sur pointes anche maschili (da segnalare l’italiano Denis Bruno). Un pezzo in cui la ricerca dell’elevazione legata all’origine delle punte rinasce nel paesaggio in trasformazione della contemporaneità.

Se pointless utilizza le punte per un percorso tra immaginario romantico e la danza di oggi, Emio Greco e Pieter C. Scholten in Momentum alzano il tiro e usano la riflessione sulla tecnica classico-accademica per un viaggio sulla condizione umana. Sopra una partitura rarefatta di Ben Frost, Momentum si apre con l’apparizione di una grande bandiera bianca che sventola sullo sfondo (video di Jean-Cristophe Aubert). Sulla destra c’è Ji Young Lee (danzatrice straordinaria) ferma, in pantaloni chiari, lo sguardo e il corpo rivolto verso il futuro. Dietro un uomo, vestito di bianco. Sullo sfondo altri cinque danzatori, con mantello e cappucci bianchi, uomini e donne. Chi sono questi sette, davanti alla bandiera bianca scossa dal vento che si avvolge su di sé, si dispiega, muta direzione?

La donna viene avanti. Il suo muoversi in bilico sulle punte dalla riflessione sull’essere danzatrice si apre a un tema più ampio, sociale, che ci confronta metaforicamente sui nostri disequilibri, sulle decisioni che osiamo prendere, sulle cose da cui scappiamo senza scegliere. L’oscillazione fremente tra la rottura dei confini della tecnica classico-accademica e il rientrare nelle sue forme non ci parla solo del linguaggio della danza. Cos’è quella bandiera bianca davanti alla quale la danza ha luogo? È la metafora della nostra arrendevolezza, oppure è lì per spronarci, fiduciosa, ad avere il coraggio di scrivere su di essa la storia?

La danzatrice è tesa portabandiera delle battaglie che ancora non conosciamo, gli altri, che via via si svestono da cappuccio e mantello e la raggiungono, li amiamo come simbolo di una comunità in risveglio. Ci si eleva danzando su quei pochi centimetri delle punte e lo spazio dello sforzo è la lotta dei corpi ribelli, un’altezza da cui a volte si cade, con tutti a terra mentre la partitura evoca boati di guerra che impauriscono e uccidono. Ma in Momentum i ribelli rinascono: altri danzatori del Ballet de Marseille dalla platea salgono in palcoscenico.

Hanno in mano un brandello di bandiera bianca e si uniscono agli altri. Danzano, battendosi con un moto di fierezza una mano sull’altra: è un movimento rubato alla celebre variazione femminile del balletto Raymonda che qui si trasforma in un gesto combattivo, di collettiva consapevolezza e unità.

Perché Momentum è un pezzo politico, una metafora del nostro tempo in bilico, come se tutti danzassimo pericolosamente sur pointes con nell’animo la spinta al mutamento. Compagnia compatta, trasformata in un ottimo ensemble d’autore, grande respiro.