La Danimarca affitterà 300 posti nelle prigioni del Kosovo per trasferirci i detenuti stranieri che al termine della loro condanna devono essere espulsi. Lo ha annunciato mercoledì scorso il ministro dell’Interno di Copenaghen Nick Hækkerup del partito socialdemoratico. La misura fa parte di un piano per aumentare la capacità del sistema carcerario e i fondi per le guardie penitenziarie. Negli ultimi sei anni, infatti, la popolazione detenuta è aumentata del 18%, sfiorando i 4mila individui, mentre il personale che lavora in carcere è diminuito del 19%.

L’accordo è sostenuto da un fronte politico trasversale: oltre ai socialdemocratici, dal Partito popolare danese, Partito popolare socialista e Partito popolare conservatore. A Pristina, con cui i negoziati andavano avanti da un anno, arriveranno 210 milioni di euro in 10 anni e un aiuto di 6 milioni di euro l’anno per la transizione ecologica. Per il paese balcanico, che ambisce a entrare nell’Ue, è anche un modo per accreditarsi presso gli altri paesi membri e presentarsi come un partner affidabile.

L’esternalizzazione dei detenuti stranieri risponde alla stessa logica che ha portato il parlamento di Copenaghen a votare nel giugno scorso una legge per trasferire all’estero i richiedenti asilo. Anche in quell’occasione la misura è stata proposta dal partito socialdemocratico della premier Mette Frederiksen, con il sostegno trasversale di verdi e destre.

Nel 2020 i detenuti stranieri da rimpatriare dopo la detenzione nelle carceri danesi sono stati circa 350. Se il paese scandinavo non riuscirà a espellere quelli detenuti a Pristina li porterà indietro per rinchiuderli in centri di detenzione.