Nel 2021 è uscito uno di quei libri che il lettore dell’ExtraTerrestre dovrebbe tenere sempre a portata di mano, nella libreria o sul comodino. S’intitola Il profitto e la cura e lo ha scritto Cinzia Scaffidi per Slow Food Editore, con prefazione firmata da Luciana Castellina (208 pp., 16,50 euro).

La mia copia, quella che ho letto per preparare l’intervista, è piena di occhielli, tanti sono i rimandi a concetti-da-ricordare-assolutamente. Sono tante, tra questi, le citazioni da testi del passato scritti dalle «voci che non abbiamo ascoltato», come spiega il sottotitolo del libro di Scaffidi, che ha il merito di far dialogare tra loro la Bibbia e lo scrittore Italo Calvino, il poeta inglese William Wordworth e Don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi di Barbiana, la Nobel per l’Economia Elinor Ostrom e Justus von Liebig, padre dei fertilizzanti e dell’agricoltura intensiva. Sono le voci di chi ha avviato e portato avanti riflessioni sulla sostenibilità, sul conflitto tra (ricerca del) profitto e (tensione alla) cura, senza riuscire a influenzare o impattare gli effetti avversi che modello capitalistico applicato all’agricoltura stava producendo, su tutti la perdità di fertilità del suolo, nonostante fossero palesi fin dall’Ottocento.

La figura di Liebig è importante, perché nel 1861, quindi centosessantanni fa, riconobbe che le sue pratiche si sono rivelate dannosissime: «Confesso volentieri che l’impiego dei concimi chimici era fondato su supposizioni che non esistono nella realtà. Avevo peccato contro la saggezza del Creatore e ho ricevuto la dovuta punizione» scrive.

La sua “scoperta” aveva permesso di avviare un business con un margine di profitto pazzesco, perché la materia prima dei fertilizzanti è l’aria. Il profitto e la cura è nato a margine dei miei corsi all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cuneo), a partire dall’idea di mettere a disposizione del lettore una mappa dei classici, dei punti di riferimento che si possono avere quando si ragiona intorno ai temi dell’agricoltura e della sostenibilità. Non è vero che le cose esistono nel momento in cui le scopriamo ed è importante conoscere gli argomenti facendo sempre riferimento a quanto si è detto e scritto su questi temi a partire da epoche ormai quasi completamente lasciate fuori dal discorso pubblico. Trovo eccezionale che mentre Alexander von Humboldt (che è vissuto tra 1769 e il 1859, ndr) stava parlando di cambiamento climatico nel 1802, ancora pochi anni fa c’era qualcuno che sosteneva che il fenomeno non esistesse e dopo 200 anni siamo riusciti a eleggere Donald Trump presidente degli Stati Uniti d’America. L’evoluzione della specie è troppo lenta.

Perché nel saggio ha scelto di far dialora le voci di un passato più o meno lontano con quelle che ascoltiamo ancora nel presente, come Greta Thunberg, Carlin Petrini o Papa Francesco?

Oggi è il papa ad aver evidenziato che i problemi ecologici si abbattono innanzitutto sui più deboli e se non ne avesse parlato lui, il tema non sarebbe in agenda, tuttavia c’è stato un Alexander Langer che senz’altro ha avuto meno eco ma ha detto esattamente quelle cose lì e quasi esattamente con le stesse parole. Il mio obiettivo non è riconoscre la paternità di un pensiero, che non è mai il problema, ma far sapere che qualcuno ha iniziato a ragionare su queste cose tanto tempo prima dà il senso di come siano maturate. Il papa per sua stessa ammissione ci ha messo un po’ a capire questa situazione, in uno dei suoi dialoghi con Petrini afferma di non aver creduto nella Teologia della Liberazione, nella Chiesa sudamericana che a partire dagli anni Settanta aveva scelto l’opzione per i poveri.

In quali ambiti immagina che possa essere utilizzato «Il profitto e la cura»?

Credo che sia uno strumento di formazione, che potrebbe essere molto utile in ambienti nei quali queste riflessioni trasversali sui temi della sostenibilità non arrivano, come quello legato alla formazione dei docenti, che non sono preparati e non hanno testi di riferimento per presentare l’ecologia a scuola collegandola alle diverse materie. La divulgazione scientifica è un elemento chiave e anche nobile della scrittura, perché se vogliamo che le cose cambino attraverso i comportamenti dei cittadini non possiamo immaginare di raggiungerli solo con liste di “così si fa” e non con spunti di riflessione.

Tra le voci non ascoltate c’è quella di Laura Conti, partigiana, medico, parlamentare per una legislatura, tra i fondatori di Legambiente. Perché ha scelto di dedicarla tanta attenzione?

Anche se è morta meno di trent’anni fa, il suo pensiero non è più riconosciuto tra quelli che hanno ispirato l’ambientalismo italiano. Abbiamo scelto di riportare in quarta di copertina una sua frase: «L’intima logica del capitalismo confligge ormai apertamente con i limiti naturali che l’agricoltura non può valicare». Questo significa che il capitalismo non si cura del domani, ma anche che non è possibile scegliere tra profitto e cura, perché non sono due temi alternativi: il problema è qual è il tuo obiettivo, perché si può costruire un’impresa solida se l’obiettivo è la cura. Il contrario non vale: se cerchi il profitto, sei portato ad abbandonare la cura. La società è arrivata a pensare che chi mira al profitto è in qualche modo giustificato a non avere attenzioni verso l’ambiente. Che il mestiere dell’azienda sia l’utile. Questo però non è vero e preso non sarà più così nemmeno nella Costituzione, perché la modifica dell’articolo 41 (verrà votata in via definitiva entro la fine di gennaio, ndr) prevedere che l’iniziativa economica non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini ambientale. A quel punto non sarà più giustificato né giustificabile l’imprenditore che lavori senza ricercare un miglioramento per tutta la società.

L’autrice sottolinea che forse «questo libro non servirà agli esperti di ecologia e di sostenbilità», ma non è vero: non ne esistono altri capaci di tracciare in modo così evidente il filo rosso che lega riflessioni sviluppate in momenti storici diversi, da pensatori che mai hanno potuto dialogare tra loro. Tra le voci quasi dimenticate c’è quella di Sir Albert Howard, morto nel 1947, botanico, precursore e fondatore indiscusso del movimento dell’agricoltura biologica (nel 2021 Slow Food Editore ha ristampato il suo libro I diritti delle terra, pubblicato per la prima volta nel 2005). «È commovente – conclude Scaffidi – leggere ciò che scrive negli anni Trenta del Novecento, quando dà per spacciata l’agricoltura industriale. È convinto che tutti abbiano capito che “quella cosa lì non funziona”, che ha fallito, ed è convinto che si andrà verso un’agricoltura sostenibile. Meno male non ha visto ciò che è successo dopo».