E così la Catalogna ha il suo 130º presidente, dato che ai catalani piace iniziarli a contare da Berenguer de Cruïlles, vescovo di Girona morto nel 1362. Curiosamente Carles Puigdemont, eletto domenica sera alle 10, a due ore dal termine ultimo prima dello scioglimento automatico del Parlament di Barcellona, è solo il secondo gironino a occupare questa carica da allora. Ieri si è dimesso dal suo attuale incarico di sindaco di questa medievale città del nord della Catalogna.

Il dibattito di investitura è durato 5 ore in cui il candidato scelto dall’ex presidente Artur Mas ha elencato in un lungo discorso una serie di priorità programmatiche che per un governo che, secondo gli accordi, durerà al massimo 18 mesi per poi ottenere – ancora non è ben chiaro come – lo scollegamento dalla Spagna, sembravano francamente ambiziose. Di fatto, per sua stessa ammissione, “è lo stesso programma di Artur Mas”. Ma nelle repliche è stato chiarissimo che quello presieduto da Puigdemont è un governo che cercherà in tutti i modi lo scontro con Madrid, approfittando di questo momento di debolezza.

Se la coalizione di Junts pel Sí si è sciolta in commossi elogi ad Artur Mas per il (tardivo) sacrificio e di calorosi auguri al fedelissimo dell’ex presidente, tutti gli occhi erano in realtà puntati sugli anticapitalisti femministi della Cup. Mas aveva cercato la loro pubblica umiliazione nel discorso di sabato in cui lasciava la presidenza, ma è chiaro che la Cup non sarà un alleato docile. Innanzitutto, due dei dieci deputati si sono astenuti: Puigdemont è stato eletto con 70 sí, 63 no e due astenuti. Secondo, è vero che hanno accettato che due dei loro deputati (e non 8 come aveva detto Mas) si sarebbero dimessi, ma saranno sostituiti. E i due che invece entreranno “nelle dinamiche parlamentari” di JxS “per garantire la stabilità” continueranno a militare nella Cup.

E cioè, come hanno garantito vari esponenti del movimento, l’azzardata e autoritaria affermazione di Mas che si sarebbero “corretti” i risultati del 27S ridando a JxS la maggioranza che le urne gli avevano negato (64 invece di 62 seggi, contro i 63 delle opposizioni) era falsa (gli anticapitalisti cioè non cambiavano bandiera).

La portavoce della Cup, Anna Gabriel, è stata molto onesta e combattiva nel suo discorso: ha evidenziato la contraddizione di appoggiare un president liberale, ma solo strumentalmente per ottenere l’indipendenza (“il cammino non può che essere unilaterale”, ha ribadito). E ha ricordato che il patto comprende l’appoggio parlamentare al governo solo su questo punto, con iniziative come la creazione del welfare catalano, non su finanziarie lacrime e sangue e antisociali. Senza dimenticare di citare il recente suicidio di un giovane studente transessuale per rivendicare l’importanza delle politiche rivolte al collettivo LGBT. Insomma, come hanno ricordato molti altri esponenti della Cup, come diceva l’ex deputato David Fernández: “offriamo la nostra mano per la costruzione della repubblica, ma pugni chiusi contro i tagli”.

Per questo la rabbia di Mas e dei suoi, nonostante la messa in scena del sacrificio per la patria (in pieno delirio, alcuni ieri sono arrivati a proporre su change.org di intitolare all’eroe Mas la Plaça Espanya di Barcellona) era altissima. Tanto che, come ha raccontato Gabriel, durante il negoziato sono state dette cose come “la testa di un israeliano – cioè Mas – vale 10 teste palestinesi – della Cup”.

Ma l’intifada evidentemente funziona: dopo averlo tenuto sulla corda tre mesi, sono riusciti a ottenere la testa di Mas, risultato in sé notevole, e di poter influire nella dinamica del futuro governo catalano. La loro speranza esplicita è di prendere tempo per riuscire ad ampliare, a sinistra, la base favorevole all’indipendenza che il 27 settembre non aveva superato il 48% e che a dicembre era ancora più bassa.

Ma 18 mesi passano in un lampo, la Cup (e tutti gli indipendentisti onesti) potrebbero presto rimanere delusi. D’altra parte, se i popolari e Ciutadanos si sono stracciati le vesti (questi ultimi segnalando che nel lungo discorso di Puigdemont non si è mai parlato della corruzione che affligge il suo partito), i socialisti hanno confermato la posizione immobilista mentre Catalunya sí que es pot ha definito come “sogno impossibile” quello dell’indipendenza. La coalizione, che riunisce Izquierda unida, Podemos e i rossoverdi di ICV, su una posizione pro-autodeterminazione ma senza strappi, era la principale favorita in eventuali nuove elezioni.

A Madrid intanto reazioni scontate.

Podemos è l’unico dei 4 principali partiti a proporre un referendum.

Rajoy ha ribadito che, nonostante il suo sia solo un governo ad interim, «non lascerà passare nessuna azione contro l’unità e la sovranità spagnola», mentre i socialisti si barcamenano fra l’appoggio al Pp sull’unità della Spagna e il «dialogo» per risolvere l’impasse e «favorire il cambiamento».

Anche il re prende  le distanze: non riceverà la  nuova presidenta del parlamento catalano ma controfirmerà la nomina solo via decreto.