In un editoriale recente, Ernesto Galli della Loggia, prende spunto dai fatti di Colonia (le molestie subite da molte donne nella notte dell’ultimo dell’anno), per esporre una teoria dell’integrazione culturale forte e mistificante. Due sono i punti essenziali del suo discorso. La civiltà occidentale deve liberarsi dei sensi di colpa nati dal pregiudizio che le attribuisce misfatti peggiori rispetto ad altre civiltà. In ogni società esiste una cultura dominante e l’integrazione è assoggettamento delle altre culture al quadro delle regole generali che essa determina.

L’ostinazione con cui in Occidente si rimuove il peggior misfatto di tutte le civiltà, lo sterminio degli ebrei, è pari al suo rifiuto di assumere una vera responsabilità nei confronti di secoli di colonialismo, di schiavismo, di saccheggio delle risorse degli altri, di scambio sempre più ineguale. Dei sensi di colpa non possiamo liberarci se ce li siamo meritati: questo è una bella complicazione, perché, se non sono legati al senso di responsabilità, la loro presenza è controproducente. Il senso di responsabilità deriva dalla consapevolezza che la mortificazione del desiderio dell’altro come nostra controparte nelle relazioni di scambio, ci danneggia entrambi come soggetti desideranti. Il senso di colpa misura il danno che abbiamo causato all’altro, a causa dell’allontanamento dal senso di responsabilità, e produce, come atto di riparazione, il ritorno ad esso, cioè a un rapporto paritario, reciprocamente rispettoso. Quando la tentazione del dominio prevale sulla responsabilità e la percezione oscura del misfatto (ineliminabile, finché sopravvive il senso di umanità) gira a vuoto, il senso di colpa alimenta una falsa riparazione: la beneficenza come atto di generosità, il mantenimento della propria posizione di superiorità in condizioni di sollievo morale. Il danno è in minima parte alleviato, ma il meccanismo che lo produce ne esce rinforzato.

La falsa riparazione non è sufficiente per una pacificazione interiore altrettanto falsa: il danno deve essere, in una sua parte variabile, negato.

Il modo migliore è sfruttare l’ostilità e la rabbia dell’altro danneggiato (un essere umano non reso migliore, innocente, nei suoi sentimenti dal torto subito) per colpevolizzarlo. Il pretendere di educare l’altro ai propri valori, per accoglierlo una volta «civilizzato» (il punto centrale della proposta di Galli della Loggia) è una pia illusione, perché presume che costui accetti di sentirsi colpevole del danno subito. La condizione per essere ripagato con la benevolenza; di trovarsi, in altre parole, «cornuto e mazziato».

La pretesa educativa sull’altro, sfocia nella disgregazione culturale delle relazioni sociali, nella costituzione di scompartimenti stagni, che convivono ignorandosi.

L’integrazione culturale è nel segno della reciprocità dell’apertura tra le culture che si incontrano, fondata sulla disponibilità unilaterale di mettersi in gioco della cultura che le circostanze hanno reso egemone. Tocca soprattutto alla cultura che accoglie di affermare i propri valori, mettendoli alla prova della trasformazione che l’impatto con le culture accolte determina. Una cultura è tanto più assimilata, accettata da ciò che la trascende, quanto più lo assimila, lo elabora e se ne arricchisce. La cultura «dominante», è strumento di potere, dogmatismo che sostituisce l’esperienza con la regola.

L’«egemonia» culturale è, invece esposizione, possibilità di sperimentazione, gioco erotico con l’inconsueto, capacità di trasformare e di essere trasformati, turbati ma non perturbati, da ciò che appare estraneo.