Il terremoto è un fenomeno complesso che manifesta la vitalità del Pianeta e non può, né deve, essere evitato, dicono i sismologi. Vallo a dire a chi per via del terremoto ha perso tutto, finanche la vita. Eppure è così. E per riuscire a convivere con un fenomeno che non può essere evitato bisogna, innanzitutto, imparare a conoscerlo.

L’Italia è terra sismica. Ogni anno, in media, la terra vibra per più di diecimila volte. Nella stragrande maggioranza dei casi nessuno se ne accorge, solo i sismometri. In Italia, oggi, sono più di trecento gli “orecchi elettronici” appoggiati sul terreno ad ascoltarne ogni minimo movimento e a dare la possibilità di individuarne il luogo di provenienza, costituiscono la Rete Sismica Nazionale. Pochi sanno che appena venti anni fa, poco prima del terremoto dell’Umbria-Marche (quello del 1997 che danneggiò la Basilica di San Francesco ad Assisi, facendo tre vittime), c’erano poco più di settanta stazioni sismiche e che alle soglie del nuovo millennio queste non arrivavano nemmeno a cento; in meno di quindici anni si è registrato un incremento quasi del trecento per cento. Ciò ha contribuito a far crescere il livello di conoscenza della sismicità nazionale, dei meccanismi che regolano le modalità di rilascio dell’energia sismica, del collegamento fra lo scuotimento del terreno e le caratteristiche geologiche superficiali. La mole di dati sismologici è sempre crescente, numerose sono le modalità di accesso ai dati anche per chi non fa parte della comunità scientifica.

Tutto ciò non ha tuttavia potuto impedire che negli ultimi diciassette anni si verificassero quattro forti eventi sismici che hanno prodotto circa quattrocento vittime, decine di migliaia di sfollati, danni stimati in diversi miliardi di Euro. Per non parlare delle aree in cui la sismicità, pur non presentandosi sotto forma di evento sismico distruttivo, ha comunque prodotto scosse avvertibili e danneggiamento per lunghi periodi, come, ad esempio, nelle aree del Pollino o dell’Umbria.

L’Aquila, San Giuliano di Puglia, Emilia Romagna, Umbria, Marche, Calabria, Toscana, Sicilia, da Sud a Nord tutta la penisola è stata devastata da eventi sismici che hanno assunto carattere di fenomeno sociale ed economico a riprova del fatto che il rischio sismico non è solo questione di pertinenza sismologica, ma coinvolge numerosi altri aspetti. La definizione di rischio ambientale – quello sismico ne è solo un caso particolare – introduce, infatti, il contributo della pericolosità, della vulnerabilità e dell’esposizione. Nel caso dei terremoti la prima individua la probabilità che un determinato livello di scuotimento del terreno prodotto da un sisma possa essere superato in un lasso di tempo, generalmente fissato a 50 anni. La vulnerabilità sismica è la valutazione della propensione di una struttura a subire un danno a fronte di un evento sismico di una data intensità. L’esposizione è la valutazione della possibilità di subire un danno economico o la perdita di vite umane a seguito di un evento sismico. Degli aspetti di pericolosità si occupano i sismologi, della vulnerabilità gli ingegneri, la valutazione relativa al valore esposto è compito di esperti finanziari o assicurativi. È evidente che, dei tre elementi costituenti il rischio, si può intervenire direttamente solo sugli ultimi due.

Una efficace prassi di riduzione del rischio, indirizzata specificatamente alla prevenzione, deve passare attraverso la riduzione della vulnerabilità e la minor esposizione di valore. La costruzione di nuovi edifici secondo le normative antisismiche vigenti, l’adeguamento antisismico dell’edificato esistente, sono i passi imprescindibili per rendere le costruzioni in grado di resistere a un terremoto.

La sola esistenza di normative avanzate non basta, però, a garantire che la mitigazione del rischio ottenga successo. Una efficace prassi di riduzione del rischio è essenzialmente un processo di crescita culturale della società che prende piena consapevolezza del significato di pericolosità, lo fa proprio e attiva forme di convivenza con i fenomeni naturali che, in quanto tali, non possono essere impediti. In questo quadro entra in gioco il ruolo sociale dello scienziato, l’importanza di trasmettere nella maniera più ampia e chiara possibile le conoscenze raggiunte, in modo da concretizzare la presa di coscienza della pericolosità dei territori e rendere automatica l’attivazione di meccanismi di autodifesa. Sismologi e geologi da anni si impegnano nella divulgazione scientifica, nella didattica nelle scuole, nell’informazione in tutte le sue forme.

Sempre più frequenti sono le sessioni che nei convegni, nazionali o internazionali, si occupano degli aspetti legati alla diffusione dell’informazione sismologica o alla realizzazione di progetti indirizzati alle scuole, da quelle dell’infanzia alle superiori. Il futuro della mitigazione del rischio passa necessariamente attraverso l’alfabetizzazione sismologica di una parte sempre crescente di cittadini, a cominciare dai bambini, i cittadini del futuro. Se il nostro lavoro di sismologi riuscirà a far crescere loro con una consapevolezza diversa da quella con cui siamo cresciuti tutti noi, nei prossimi decenni, forse, ci toccherà sempre meno di dover assistere quasi impotenti alle conseguenze disastrose di un evento sismico e il nostro lavoro di ricerca avrà ottenuto un valore aggiunto: quello di aver contribuito a una società migliore.

*Sismologo dell’Ingv