Da flâneur contemporaneo, osservatore di paesaggi naturali, urbanistici e umani, di ammezzati e segreti appartamenti, piazze, teatri, tangenziali, darsene, ospedali, Sandro Abruzzese in CasaperCasa (Rubbettino, pp. 310, euro 18: sarà presentato a Agropoli, Salerno, il 20 agosto) scrive un libro originale, quello di chi, nato e vissuto in Irpinia, scopre Ferrara, la città della nebbia, con uno sguardo straniero nemico della routine.

I BREVI CAPITOLI, memoria di un taccuino terapeutico, sono legati da una trama sottile in una narrazione ondivaga che cerca la moltitudine in una consequenzialità di fatti non necessariamente coerenti. Ne viene fuori uno strano reportage narrativo, o storia dal vero, dove l’autore cerca di afferrare e raccontare forse qualcosa di impossibile, cioè l’anima del luogo, il conio della città, o i suoi traumi, le lacerazioni e profonde trasformazioni, i paesaggi incantati della pianura del Polesine, tiene sotto controllo i centri ma anche le periferie dove avvista figure dell’avvenire, stranieri che stanno cambiando anche loro il volto della città.

POI C’È UN LEITMOTIV, una avvisaglia che dal locale allarga al globale con effetti traumatici e problematici, come il crack finanziario della Cassa di Risparmio, fatto che spinge la gente al suicidio, l’effetto domino di un sistema finanziario che da Wall Street a Ferrara si materializza nel tinello di Michela Marinetti vista dal marito «penzolare giù dal lampadario e oscillare lievemente mentre soffocava», ma fa perdere il posto anche a Giorgio, il carpentiere.

IL FALLIMENTO della banca, come altri, diventa uno dei racconti che l’autore raccoglie davvero casa per casa, in interni con persona, comunque di luogo in luogo, s’innerva nelle tante dicerie e parlamenti di persone reali che sembrano a volte i «narratori delle pianure» di Gianni Celati, o i terremotati di Arminio, la genealogia è quella, nel tentativo di partire dalla cronaca, dalle storie della Storia, per trasformarle in racconto grottesco o surreale.

ABRUZZESE CERCA di conservarne l’oralità, l’intonazione. Dentro, si sviluppa anche un romanzo di formazione del narratore medesimo, riflessioni critiche su un romanzo, Città perfetta, scritto da un amico, convergono incursioni su scene di vita contemporanea come dentro una complessa matrioska, paradossalmente con un effetto di realtà molto forte, e anche un romanzo popolare di quartiere in quartiere. Quello che colpisce è proprio giocare su una linea sottile dove la narrazione pendolareggia tra la cruda realtà di un microcosmo e l’invenzione di sguardi dei molti attori sociali che ci vivono dentro.

L’AUTORE SEGUE anche i lavori urbanistici, le grandi opere di provincia, lì dove si vede come la cattiva politica, quella «progressista» in questo caso, ha cambiato la toponomastica, ma attraversa anche gli immediati dintorni, i paesi che raggiunge insieme a Giorgio Aggiustautto, l’amico carpentiere ucraino. Gli spaesamenti, quando si allontanano dalla città, servono a riferire il contesto, vanno a Mesole, Goro e Gorino dove incontrano le barricate contro i profughi africani in arrivo, a Codigoro i carabinieri stanno cercando il Rambo dell’Est, scoprono che la globalizzazione e la violenza del mondo sono arrivate anche da quelle parti.

MA IL NARRATORE cerca nelle storie degli altri anche la memoria dei nativi, fa un viaggio nel tempo oltre che nello spazio, un viaggio nel passato, oltre che nel presente, che si materializza anche negli edifici, nei luoghi, negli aneddoti che a quei luoghi si legano. Un ibrido che solo il reportage, nei suoi complessi palinsesti, riesce a produrre.