A Plague Tale: Innocence di Asobo (pubblicato da Focus Home Interactive) è l’ennesimo esempio di come spesso le convenzioni dei videogiochi rischino di soffocarne la voce. In A Plague Tale: Innocence seguiamo l’avventura della giovane Amicia e del suo fratellino Hugo nella Francia tra 1348 e 1349. Infuria la Guerra dei cent’anni contro l’Inghilterra, Hugo soffre di un misterioso morbo ed è per questo ricercato da un’Inquisizione deviata mentre orde di ratti invadono le strade divorando le persone e portando malattie in una rilettura sovrannaturale (e un po’ superficiale) della Peste Nera. Può sembrare un The Last of Us di Naughty Dog ambientato nel Medioevo: un personaggio più adulto, inquadrato da dietro le spalle, accompagna un personaggio più giovane attraverso un’epidemia con parti in cui non devo farmi scoprire e la possibilità di raccogliere risorse e usarle per costruire strumenti e migliorare il mio equipaggiamento. Queste soluzioni convenzionali riescono a mostrare efficacemente la altrettanto convenzionale crescita di Amicia da giovane nobile impaurita che può solo nascondersi a guerriera capace di manipolare torme di ratti e far loro uccidere i suoi nemici.

Ma sono anche il problema di A Plague Tale: Innocence, che invece di costruire le sue meccaniche sui temi e le emozioni che vuole suscitare si affida acriticamente a ciò che il genere già offre. A differenza di quanto accade in opere come Ico o Brothers: A Tale of Two Sons, qua la componente ludica racconta poco delle relazioni tra i personaggi, vero centro della trama narrata dai filmati e dai dialoghi, e il gioco si riduce spesso a una serie di piccole zone con ostacoli da superare in modi triti, predefiniti e insignificanti, puzzle in cui ogni fallimento porta alla morte e al frustrante caricamento del più vicino punto di salvataggio. Se le parti furtive sanno essere noiose e ripetitive, i momenti peggiori sono le sequenze più spiccatamente d’azione come gli scontri contro «boss di fine livello» inseriti in modo forzato e incoerente come se fossero qualcosa che semplicemente non può mancare in un videogioco.

È un peccato, perché in A Plague Tale: Innocence si scorge una cruda fiaba migliore del videogioco in cui è stata costretta, ed è una fiaba che nonostante tutto vale la pena vivere e giocare. I protagonisti sono caratterizzati con una rara delicatezza, con una naturalezza quasi domestica nelle loro interazioni anche in quello che pare l’inizio di un’apocalisse. Meravigliose e terribili orde di migliaia roditori neri e dagli occhi luminosi fuggono dai fuochi che i personaggi accendono e sbranano gli sventurati che mettono un piede nelle tenebre. Alchimisti studiano conoscenze proibite capaci di cambiare il mondo. La bellezza degli ambienti naturali e urbani si alterna con la spietata rappresentazione della guerra e della malattia: la luce si colora attraversando le finestre gotiche delle chiese, i cadaveri colmano fangosi campi di battaglia, l’acqua scorre in caverne sotterranee e imputridisce nelle città appestate.

Strumenti ad arco e a corda accompagnano l’avventura cullando sentieri boschivi che sembrano dipinti da Claude Lorrain ed esplodendo quando i ratti emergono dal sottosuolo. C’è anche un’importante differenza con altre opere in un modo o nell’altro simili, come il già citato The Last of Us o l’ultimo God of War di Santa Monica o, guardando altri media, La strada di Cormac McCarthy e La strada della perdizione di Richard Piers Rayner e Max Allan Collins: A Plague Tale: Innocence non oppone un protagonista maturo, ormai corrotto e magari maschile a un’infanzia da salvaguardare. Mostra invece un gruppo di bambini e giovani adulti che si trovano a crescere da soli in un mondo in cui gli adulti hanno fallito e vanno salvati dalla catastrofe grazie al sapere dell’alchimia, cioè della scienza. Un #FridaysforFuture medievale. A Plague Tale: Innocence è già disponibile per PC, PlayStation 4 e Xbox One. Consiglio: giocatelo con il doppiaggio francese.