Terzo capitolo della saga horror creata e prodotta da James Wan aspirante al titolo di Poltergeist degli anni Zero. Se il primo capitolo, pur nel suo essere un’operazione dichiaratamente derivativa, convinceva a causa della ferocia di alcuni momenti e l’atteggiamento «reverenziale» di Wan, teso a restituire al genere l’aura della cattiveria che fu, il secondo sceglieva di omaggiare i maestri italiani, in primis gli aldilà e le città dei morti viventi di Fulci.
Inevitabile che, giunti al terzo capitolo, le idee comincino a scarseggiare e che l’equilibrio dei capitoli precedenti ceda alla formula. Accreditato come produttore, Wan cede le redini della regia a Leigh Whannell, autore della serie Saw, che ha creato anche Insidious. Inteso come un prequel, il film si offre come un episodio atto a conferire uno sfondo motivazionale e psicologico alla medium Elise Rainier. Chiusa nel suo appartamento, terrorizzata dalla donna in nero vista all’opera nel secondo capitolo, rifiuta inizialmente di prestare aiuto a un’adolescente che vorrebbe mettersi in contatto con la madre defunta.

Whannell è molto più efficace nel costruire la premessa narrativa del film. L’appartamento enorme infestato dall’uomo «che non respira» garantisce salti sulla poltrona, tanto più efficaci quanto prevedibili, mentre man mano che il film procede nella direzione risolutiva dell’intreccio perde progressivamente efficacia adottando soluzioni ampiamente prevedibili. Anche a livello di scrittura Whannell non conserva la forza dei precedenti episodi. E l’aldilà, visto come un tetro condominio di pensionati grigi e spenti, inizia a mostrare la corda, soprattutto in relazione a una struttura formale chiaramente debitrice all’estetica videoludica.

 

Insidious 3, in perfetto parallelismo con Saw, è il film dove il materiale di partenza si trasforma in franchise seriale. Questa ristrutturazione seriale, destino toccato a tutti i grandi successi horror dagli anni Ottanta in avanti, da Venerdì 13 a Nightmare, è il vero sottotesto del prequel di Insidious. La rottamazione narrativa e formale in favore del produttivismo seriale che, in ogni caso, le serie tv contemporanee raccontano e realizzano meglio. A favore del film gioca solo un’estetica veloce e volutamente cheap, rimandante a un’idea di consumo horror di massa che ha conosciuto a metà degli anni Ottanta il suo momento di maggiore diffusione.

Rispetto a Saw, unico grande serial cinematografico horror degli anni Zero, Insidious, alla luce di questo prequel dominato più da ombre che da luci, sembrerebbe iniziare già col fiato corto, non potendo contare nemmeno sulla mnemostruttura coatta dei racconti (im)morali dell’Enigmista. L’unico elemento di relativa novità rispetto ai due capitoli precedenti, è questo sì, inquietante. Elise, che teme di utilizzare le proprie doti, si convince quando un suo «collega» le fa balenare davanti agli occhi l’idea che ciò che fa è equiparabile a «una operazione di polizia». Il medium come poliziotto dell’al di là. E così, mentre un film come Sicario «afganistanizza» la lotta al narcotraffico, Insidious lancia la sua crociata contro fantasmi ed ectoplasmi.Una deriva magari pagante in termini di pura action (da verificare in ogni caso) ma priva di ambiguità. E una scelta narrativa (e ideologica) che fa paura davvero. Peccato, Insidious prometteva meglio. Per trarre una conclusione, però, si dovrà inevitabilmente attendere il quarto capitolo della saga inevitabilmente annunciato dal prevedibilissimo finale aperto. Continua.