Come dei marinai che devono riparare la propria nave in mare aperto, costretti a utilizzare il legname della vecchia struttura, la scienza non può che basarsi su ipotesi derivate da una determinata visione del mondo, senza poter attingere la “verità” oggettiva. Questa metafora di Otto Neurath è stata ripresa più volte da Danilo Zolo e In mare aperto è stato il titolo del convegno che si è svolto il 5 e 6 dicembre nella sua Firenze e nel suo ateneo, organizzato dal Centro di filosofia del diritto internazionale e della politica globale Jura gentium, da lui fondato con la rivista omonima.

Il tentativo, riuscito, era aprire una discussione spregiudicata, lontana dalle celebrazioni accademiche che Zolo non sopportava. Il mare aperto richiama un modo, critico e originale, di affrontare la società contemporanea rompendo schemi ed esplorando nuovi territori. Evoca insieme la passione per la vela, i periodi di studio nelle università dell’Europa e delle Americhe, gli incontri con esperienze “altre”, dal Brasile all’Afghanistan. E rimanda al Mediterraneo, bacino su cui si affacciano luoghi di guerra e sofferenze – dai Balcani alla Palestina – che Zolo vedeva come spazio di una possibile alternativa politica e culturale all’egemonia atlantica, e oggi cimitero di migranti.

Perché nel caso di Zolo è impossibile separare la passione politica e il rigore teorico, l’insegnamento universitario e l’impegno civile; lo hanno ricordato al convegno un po’ tutti gli interventi, dall’introduzione di Luigi Ferrajoli alle conclusioni di Pietro Costa. Così come hanno condiviso la tesi che la cifra della filosofia giuridica e politica di Zolo è un realismo critico, che non implica né l’indifferenza ai valori, né l’adesione a un’antropologia pessimista.

Ma alla posizione di Ferrajoli, che ha parlato di un “paradosso Zolo” sostenendo che il realismo non può essere al tempo stesso critico e antinormativista altri, fra cui Giovanni Mari, hanno risposto che qui emerge una tensione feconda. Del resto nel tentativo di tenere insieme l’analisi spregiudicata dello stato di cose esistente e la sua critica Zolo continuava una ricerca che fra i suoi protagonisti ha visto figure come Machiavelli e Marx; e lo faceva senza riferimenti a una “ragione immanente” o a una filosofia della storia, appunto rimanendo “in mare aperto”.

Tecla Mazzarese, Virgilio Mura e Baldassare Pastore hanno messo a fuoco la riflessione di Zolo sulla democrazia, la complessità e lo Stato di diritto, capace di anticipare questioni centrali nella politica contemporanea, dalla sindrome postdemocratica alle trasformazioni della sovranità.

Mettendo al centro la categorie dell’analisi sistemica ma con un’attenzione alla pluralità non rinvenibile in Luhmann.

A partire dalla Guerra del Golfo del 1991 Zolo ha elaborato un’interpretazione radicale dell’ordine internazionale che si stava definendo e che ora sta crollando. Le “Guerre umanitarie” e le “guerre preventive” erano viste come elemento integrante di questo ordine, come ha rilevato Alessandro Colombo, mentre Emidio Diodato ha ricordato che Zolo aveva indicato nel “modello Lilliput” un embrione di visione alternativa. Utilizzando Carl Schmitt contro le aporie del diritto umanitario Zolo ci ha insegnato a guardare l’Occidente con lo sguardo dell’altro, ha sottolineato Anna Loretoni. Contro la legittimazione del potere imperiale il sospetto si rivolgeva anche ai diritti umani, recuperati tuttavia come strumento di resistenza, come hanno mostrato fra gli altri Gustavo Gozzi e Geminello Preterossi.

Sullo sfondo il contributo di Zolo alla sinistra, fin dalla sua scelta di cristianesimo radicale nella Firenze degli anni sessanta: insoddisfatto dall’ortodossia marxista come poi dall’adesione disinvolta all’etica pubblica liberal, coerente nella denuncia delle guerre ma in controtendenza rispetto alle prevalenti posizioni del pacifismo istituzionale e del “globalismo giudiziario”, capace di mettere in luce le insidie della globalizzazione negli anni dell’entusiasmo per la “terza via”. Nel mare aperto Zolo ha indicato a possibili rotte alternative alla sinistra. Che oggi, quando è in questione la sua stessa esistenza nel nostro paese, varrebbe la pena di ripercorrere.